Il centro della quinta architettonica che chiude a nord-ovest Piazza Grande è occupato dal complesso Ca’ Balbi e Casa dei Battuti, due edifici giustapposti, tipologicamente diversi per impianto e fase costruttiva, come testimonia lo stacco visibile in facciata.
Il disegno della Casa dei Battuti, tramandato nel Catastico di Mattio Bettodello del 1585 (che elencava i beni stabili della Scuola dei Battuti)[1], evidenziava una forometria originaria diversa: l'apertura di una sola finestra per piano (invece delle due attuali) a sinistra dei poggioli centrali e l'apertura degli oculi (finestrelle) del sottotetto sopra quelle del secondo piano. Il disegno di Ca’ Balbi (sicuramente già esistente all’epoca) non è riportato, ma solo perché apparteneva ad altra proprietà.
Una particolarità si può segnalare a proposito della distribuzione dei vani nella Casa dei Battuti: al primo piano (e analogamente doveva essere al pianoterra), si conserva la tripartizione tradizionale con un vano centrale, ma stretto, lungo e delimitato parallelamente da un solo muro portante e da una tramezza, quindi non ancora il tipico salone dei palazzi o ville di XVI-XVII secolo.
Altre notizie sul complesso, ricavabili dall’archivio del Duomo e dall’archivio di Stato di Treviso, non aggiungono dettagli sulle caratteristiche architettoniche e decorative, ma riguardano solo passaggi di proprietà e l’uso di alcuni locali nei secoli XVI-XVII (stanze di abitazione, stalla, magazzini, botteghe, un’osteria …) o di riparazioni, compresa quella del tetto.
La storia edilizia del complesso
Informazioni sulla storia edilizia tra XIV e XX secolo e tra una fase protostorica (VI secolo a.C.) e una fase romana tardoantica (VI secolo d.C.) sono emerse solo dal restauro del corpo murario nel 2006-2009 e dallo scavo archeologico preliminare[2].
Alla fase primitiva pertengono due edifici «isorientati con un tracciato viario»; alla romanizzazione e alla piena età romana si riconduce prima la risistemazione della strada stessa e poi la sua ristrutturazione «col piano di calpestìo in bàsoli di trachite» (ora visibile nella galleria odierna); al periodo adrianeo si attribuisce un mosaico (ora visibile nell’atrio dell’edificio entrando da Piazza Castello), parte di una imponente domus urbana. Dopo l’uso abitativo (ma anche il riuso di ambienti per attività artigianali) durato in età imperiale, si avviò la spoliazione della domus e del lastricato della strada, infine abbandonata verso l’VIII secolo. Dopo il Mille sul sito è probabile la comparsa di edifici in legno. Con gli interventi edilizi tra XV e XVI secolo si ebbe la disgregazione dello strato archeologico superstite successivo all’età antica e, a causa di aggiunte, demolizioni e ricostruzioni, la quasi completa cancellazione della fase tardo gotica, a cui rinviano – almeno per la facciata su piazza di Ca’ Balbi – una finestra archiacuta al pianoterra e tracce di altre al primo e secondo piano.
L’ipotesi ricostruttiva[3] individuerebbe una prima fase (metà del XV secolo) in cui la forometria era a finestre archiacute; una sopraelevazione successiva (tra XV e XVI secolo) di Ca’ Balbi che conservava la configurazione gotica; la trasformazione con finestre a tutto sesto (XVI secolo) nell’adiacente Casa dei Battuti e (XIX e XX secolo) il ricavo di finestre rettangolari con demolizione delle voltine, nonché lo sfondamento del pianoterra con grandi vetrine per destinare l’interno ad usi commerciali.
Gli affreschi sacri e profani
Ragguardevoli sono gli affreschi a soggetto sia religioso sia profano – databili all’ultimo quarto del XV secolo – ritrovati al primo piano del Palazzo dei Battuti, in ambienti con travi e solai con cantinelle dipinte.
Si tratta di due coppie di santi, una formata da San Bernardino da Siena che sorregge il trigramma nella mano sinistra e San Giovanni Battista; l’altra – meno facile da identificare, essendone stati erasi i nomi – formata da una Santa (?) e forse da San Prosdocimo (per l'indizio della brocca elevata con la mano destra che simboleggerebbe l'opera di evangelizzazione delle Venezie nel I secolo d.C.). Tra le due coppie di santi risulta una vistosa lacuna lasciata dallo strappo dell'affresco di una Madonna in trono con Bambino, voluto dall'antiquario veneziano Antonio Carrer, quando ne era stato proprietario, per immetterlo sul mercato.[4]
Nella stessa stanza, entro un festone vegetale, l’affresco di un paladino vestito di corazza e armato di spada, definito dalla scritta che ne affianca il volto come “Rolando”, cioè il leggendario Orlando di Roncisvalle, è una rivelatrice attestazione – anche per Oderzo – dell’adesione a quel clima culturale del XVI secolo che ricodificava (in prosa, poesia, romanzi veri e propri e in cicli pittorici) le avventure e i valori dei paladini di Carlo Magno e dei cavalieri arturiani della Tavola Rotonda, culminato nel best seller ariostesco dell'Orlando Furioso, edito e riedito tra 1516 e 1532 e diffuso largamente anche in Europa[5].
Tra gli elementi decorativi in facciata rimasti ancora evidenti il più integro è l’aggraziata decorazione a girali di fiori e melograni che corre sulla cornice di gronda, comprendente anche tre volti, uno frontale e due di profilo, raffigurati entro tondi.
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