Venezia ha origini carolingie o bizantine? Nuova sfida interpretativa per gli storici dal ritrovamento di affreschi carolingi nella basilica di Torcello.
Il problema storiografico è destinato a riaprirsi, perché gli archeologi, guidati da Diego Calaon dell’Università di Venezia, hanno riportato alla luce nello spazio tra la volta decorata a mosaici e il tetto nella cappella del Diaconico (l’abside destra della Basilica di Santa Maria Assunta a Torcello) alcuni affreschi coevi al periodo dell’erezione della basilica nel IX secolo, decorata con sculture e affreschi “carolingi”, che confermerebbero - in base a iconografia delle figure, stile pittorico e grafia delle didascalie – l’influenza politica, religiosa e culturale di un potere feudale carolingio, non bizantino come quello rappresentato dai mosaici dell’XI secolo che coprirono le opere precedenti ora ritrovate.
Un particolare degli affreschi scoperti a Torcello | Fonte: genteveneta.it/torcello-archeologia-basilica
Per il contesto storico del IX-X secolo si può consultare il capitolo Il ducato e la "civitas Rivoalti": tra carolingi, bizantini e sassoni della Storia di Venezia (1992) di Gherado Ortalli | treccani.it/enciclopedia. Uno dei più recenti contributi storici alla questione della Venezia "bizantina" è: Nicola Bergamo, Venezia bizantina: Dal mito della fondazione al 1082, Introduzione di Pier Alvise Zorzi, Edizioni Helvetia, 2018 (Oderzo e Venezia Bizantina: incontro con Nicola Bergamo).
[a. m.] Nell’isola di Torcello, all'interno della Chiesa (la più antica di Venezia) dedicata alla Madre di Dio - Theotokos fu scoperta nel 1895 un'iscrizione lapidea - murata alla base di uno dei muri del presbiterio - risalente alla fondazione della chiesa, visibile ora accanto all'altare maggiore, che potrebbe testimoniare la effettiva nascita di Venezia e cancella sicuramente invece le "patriottiche" date dei natali della città lagunare del V secolo (il 25 marzo 421, secondo la cd. Cronaca veneta detta altinate di autore anonimo).
La prima costruzione dell'edificio religioso sarebbe del 639, nel ventinovesimo anno del governo di Eraclio, imperatore bizantino, voluta dall’esarco ravennate Isacio, a ricordo dei successi suoi e del suo esercito, portata a termine dal locale magister militum, Maurizio, e consacrata dal vescovo Mauro.
La forma attuale della Chiesa è invece frutto di due grandi restauri successivi per volontà dei vescovi di Torcello, Adeodato II verso la metà del IX secolo, Orso Orseolo nei primi anni dell'XI secolo. Da allora la chiesa fu denominata Santa Maria Assunta.
Testo
[IN N(OMINE) D(OMINI)] D(E)I N(OSTRI) IH(ES)V XP(ISTI), IMP(ERANTE) D(OMI)N(O) N(OSTRO) HERA ||
[CLIO P(ER)P(ETVO)] AVGVS(TO), A[N](NO) XXVIIII IND(ICTIONE) XIII FACTA ||
[EST ECCL(ESIA) S(ANC)]T(E) MARIE D(E)I GENET(RICIS) EX IVSS(IONE) PIO ET ||
[DEVOTO D(OMI)]N(O) N(OSTRO) ISAACIO EXCELL(ENTISSIMO) EX(AR)C(HO) PATRICIO ET D(E)O VOL(ENTE) ||
[DEDICATA PR]O EIVUS MER[IT(IS)] ET [EI]VS EXERC(ITV). HEC FABR(ICA)T(A) ES[T] ||
[A FUNDAM(ENTIS) PER B(ENE)] MERITVM M[A]VR[ICIV]M GLOR[I]OSVUM MAGISTRO MIL(ITVUM) ||
[PROV(INCIE) VENETI]AR[VM] RESE[D]EN[T]EM IN HVNC LOCVM SVVM ||
[CONSECRANTE] S(ANC)T(O) ET [REV(ERENDISSIMO) MAVRO E]PISC(OPO) HVIVS ECCL(ESIE) F(E)L(I)T(ER)
[ ] = lacuna; ( ) = abbreviazione
In nomine domini Dei nostri Ihesu Xristi, imperante domino nostro Heraclio perpetuo Augusto, anno XXVIIII indictione XIII, facta est ecclesia Sancte Marie Dei Genetricis ex iussione pio et devoto domino nostro Isaacio excellentissimo exarcho patricio et Deo volente dedicata pro eius meritis et eius exercitu. Hec fabricata est a fundamentis per bene meritum Mauricium gloriosum magistro militum provincie Venetiarum, residentem in hunc locum suum, consecrante sancto et reverendissimo Mauro episcopo huius ecclesie feliciter.
Traduzione italiana:
Nel nome del Signore Dio nostro Gesù Cristo, durante l'impero del nostro signore Eraclio perpetuamente Augusto, nell’anno ventinovesimo, indizione tredicesima, è stata fatta la chiesa di Santa Maria Madre di Dio, per ordine del nostro pio e devoto signore Isacco eccellentissimo esarca e patrizio, e, a Dio piacendo, è stata dedicata per i suoi meriti e a protezione del suo esercito. Essa è stata eretta sin dalle fondamenta a cura del benemerito Maurizio glorioso magister militum della provincia delle Venezie, residente in questa sua sede, con la propizia consacrazione del santo e reverendissimo Mauro vescovo di questa chiesa. Felicemente.
L'interpretazione dell'iscrizione lapidea non è però univoca.
Il paleografo, diplomatista e storico Vittorio Lazzarini (1866-1957) [← treccani.it/vittorio-lazzarini], che decifrò e pubblicò l'iscrizione dedicatoria, e il bizantinista e filologo classico Agostino Pertusi (1918-1979) [← it.wikipedia.org/Agostino_Pertusi] hanno accettato il VII secolo come data di fondazione e l'appartenenza della pietra torcelliana alla prima fondazione del grande santuario della laguna. Pertusi, inoltre, dal termine decifrato come "VENETIARUM", ha ritenuto che Maurizio fosse stato governatore militare della provincia Venetia et Histria, in coerenza col dato storico dell'esistenza già nel VI secolo di un governatore di questa provincia.
A metà del secolo scorso, lo storico Roberto Cessi (Storia della Repubblica di Venezia, Milano-Messina, 1944) accantonò la loro interpretazione: l'iscrizione datata 639 sarebbe in realtà appartenuta ad un'altra isola, quella di Eraclea-Cittanova, e semplicemente riutilizzata a Torcello probabilmente dopo il declino o la distruzione di Cittanova nell’810.
In definitiva, tale discussa iscrizione - comunque il più antico e ampio documento epigrafico della dominazione bizantina in Alto Adriatico nel secolo VII - non può dare un sicuro contributo sull'epoca di fondazione, ma «sfata il mito secondo cui la nascita di Venezia avrebbe avuto luogo in totale indipendenza, e dimostra che - anche dopo la conquista longobarda - la zona lagunare era un "angolo di territorio bizantino" dove il comandante militare della provincia aveva arretrato il proprio quartiere generale, e che in loco erano in via di formazione possessi fondiari di ufficiali bizantini» (Andrea Zannini, 2005 | treccani.it/vittorio-lazzarini).
[a. m.] Com'è nata Venezia? Si è sempre raccontato che le popolazioni esuli romane si sarebbero rifugiate nelle lagune, scappando da barbari distruttori che devastavano le città dell’entroterra. Questo "romanzo" delle origini è da qualche tempo sottoposto alla prova di analisi ambientali geografiche, paleogeografiche, incrociate con una mole infinita di dati storico-archeologici, ma soprattutto alla prova dell'analisi condotta attraverso strumenti informatici (principalmente GIS - Geographic Information System). Gli scavi di Diego Calaon, archeologo di Ca’ Foscari a Stanford, stanno raccontando una lunga storia delle popolazioni di tali lagune. Non ci sono le tracce di un insediamento subitaneo che corrisponda al momento in cui gli antichi veneziani sono fuggiti da Padova, Treviso, Altino per rifugiarsi in laguna … «L'archeologia ci fa vedere - invece - che la laguna è abitata in maniera continuativa fin dall’epoca romana almeno fin dal primo secolo avanti Cristo e non c’è nessuna tensione verso la formazione di un abitato ai fini difensivi», come se le isole della laguna veneziana fossero il luogo più remoto in quel preciso momento storico. «L’archeologia ci fa vedere come a quell’epoca non esistessero che rive, pontili, attracchi… Vivere in quelle lagune significava vivere al centro delle comunicazioni» [cfr. italianidifrontiera.com].
|
Fonte: hannibalector.altervista.org
Il nome “Eraclea” si trova, per la prima volta in uno scritto ufficiale, all’interno di un documento pontificio. La bolla di Papa Severino del 28 Maggio del 640 istituisce due nuove diocesi, Torcello e, appunto, Eraclea, nei pressi di quella che, qualche secolo dopo, sarebbe stata chiamata “Laguna Veneta”. La storia di questo centro ha però origini molto più antiche. I numerosi isolotti siti lungo l’alto versante adriatico, pressapoco nel tratto compreso tra i fiumi Isonzo ed Adige, erano abitati da gruppi di cacciatori e pescatori già molti secoli prima dell’età cristiana. Tra tali isole, una primeggiava per grandezza ed importanza: l’isola di Melidissa. Il centro urbano più prestigioso della zona era però Opitergium, l’odierna Oderzo. L’isola di Melidissa sorgeva proprio all’interno della baia opitergina, all’incirca all’altezza di quella che oggi è Cortellazzo.
Ben presto tutta la zona passò sotto il dominio delle aquile romane. Molti sono i centri urbani di notevole importanza che prosperarono sotto l’imperio di Roma, basta citare Altino e Concordia Sagittaria, ma il vero sviluppo di Melidissa si ebbe solo dopo il declino dell’impero romano. Data la sua collocazione geografica, tutta la zona oggi conosciuta con il nome di Veneto Orientale, fu travolta, già nel secondo secolo d.C., da numerose ondate barbariche. Per porsi in salvo da queste periodiche scorribande, i cittadini romani o romanizzati della zona cercarono rifugio nelle isole della laguna: come gli abitanti di Aquileia cercarono scampo a Grado e quelli di Altino si rifugiarono a Torcello, così la gente di Concordia, Caorle e Oderzo, trovarono in Melidissa un rifugio relativamente sicuro, lontano dalle vie percorse dalle orde barbariche ormai inarrestabili. La tradizione ricorda a questo proposito una data precisa: la leggenda, infatti, vuole che nel 169 d.C., per sfuggire ai Marcomanni, la popolazione di Oderzo si trasferisse in massa (o quasi) nell’isola di Melidissa. E’ molto difficile, a questo punto, dire se ci fu effettivamente una migrazione simultanea di un’intera città o se, più probabilmente, i primi insediamenti stabili umani nelle isole di questo “arcipelago lagunare” nacquero lentamente. Il 25 Marzo 421 a Rialto venne consacrata la chiesa dedicata al Beato Giacomo Apostolo, alla presenza dei Vescovi di Opitergium, Padova, Altino e Treviso. Attorno a questo centro, ma ancora in rapporto di dipendenza con le citate diocesi, si contano nel V secolo sei “capoluoghi”: Grado, Caorle, Torcello, Malamocco, Chioggia e, appunto, Melidissa. Essi costituiscono il nucleo centrale della nuova “Venezia marittima”. “L’illustre provincia veneta si estende verso mezzogiorno fino al Po ed al territorio di Ravenna, (…). Quivi, per la vicenda del flusso e riflusso, ora sembra che essa vi si sprofondi (…).” “E voi in tal dominio, da mare a terra contrastato, avete eretto le case come nidi di uccelli marini; con fasce e con dighe sapeste collegare le vostre abitazioni; voi ammonticchiate la sabbia del mare per rompere le onde infuriate; e quella difesa, in apparenza debole, annienta le forze delle acque. La vostra attività industriale è tutta rivolta a produrre il sale (…). Il sale occupa presso di voi il posto che altrove ha il denaro coniato. E fortunati voi: dell’oro si può far senza, non già del sale, che è necessario condimento di tutti i cibi.” Così scrisse ai tribuni delle lagune venete nel VI secolo d.C., Cassiodoro, Prefetto di Teodorico. Nel 520 d.C. le isole venete costituivano una repubblica federativa governata da tribuni, in buoni rapporti con i governatori della terraferma, gli Ostrogoti, ma da essi indipendenti. Tale repubblica, secondo la tradizione, sarebbe nata ufficialmente nel 466, dopo una ratifica formale di uno stato di fatto che si protraeva da anni. Dalla terribile guerra gotico-bizantina, conclusasi nel 533 con la morte di Teia, ultimo re dei Goti, l’Italia esce, come è noto, completamente devastata. Solo alcune ristrette si salvano: tra queste la laguna veneta, isolata dalla penisola da un tratto, quasi invalicabile di mare e paludi. La federazione delle isole venete approfitta di ciò, stringendo una solida alleanza con l’impero d’Oriente e mantengono rapporti di “buon vicinato”, con i resti di quello che era l’impero romano d’Occidente. Mentre il perstigio della federazione nasceva, in Italia il governo greco vacillava ed i Longobardi iniziavano la conquista della penisola. Secondo alcuni storici, fu questa ennesima “invasione” a costringere sempre di più gente ad abbandonare la terraferma a favore della laguna veneta, considerata molto più sicura. Verso la fine del VI secolo si registra una nuova massiccia migrazione che, da Oderzo, porta centinaia di persone verso l’isola di Melidissa. Il prestigio dell’isola aumentava, tanto che, nel 579, il Sinodo dei vescovi veneti ed istriani deliberò il trasferimento della sede vescovile da Oderzo a Melidissa. Nel frattempo il fiume Piave cambiava il suo corso, e Melidissa diventava penisola. Nel 638, per sottrarsi alle persecuzioni religiose ariane, il Vescovo di Oderzo, San Magno si trasferiva assieme alle più importanti famiglie opitergine a Melidissa, che intanto, in onore dell’imperatore d’Oriente Eraclio (morto nel 640), vincitore dei persiani, acquistava il nome di Eraclea (Heraclia).
Verso la metà del VII secolo Eraclea era la maggiore città dell’estuario. In essa sorgeva la cattedrale di S.Pietro Apostolo, fondata da S.Magno, e secondo alcuni storici aveva una popolazione di 90.000 abitanti. Vero ponte tra oriente e occidente, Eraclea intratteneva rapporti commerciali e diplomatici sia con la corte bizantina che con quella longobarda di Pavia. Fiorivano i commerci con l’Oriente, in particolare con Bisanzio, alla quale la città lagunare era strettamente legata anche da accordi politici, tanto da poter rappresentare, per molti anni, gli interessi greci nell’alta Italia. Difficili restarono comunque i rapporti con i conquistatori della terraferma. Il re longobardo Grimoaldo (622-671) ordinò lo smembramento di quanto restava dell’antica città di Oderzo, originando una nuova, massiccia migrazione verso la laguna. Gran parte dei profughi trovò rifugio ad Equilio, che poi diventò Jesolo: la nuova città restò molto vicina ai Longobardi, secondo alcuni storici proprio a causa del prolungato contatto che gli abitanti avevano avuto con i “barbari”. Eraclea si mantenne così in stretto rapporto con l’impero con l’impero d’Oriente, mentre Jesolo intratteneva contatti continui con i Longobardi. Le differenze culturali e politiche fra le due “potenze” dell’estuario non tardarono a sfociare in un contrasto aperto: verso la fine del VII secolo, pare attorno al 690 d.C., le milizie cittadine si scontrarono in una battaglia campale, il cui esito fu favorevole ad Eraclea. Tracce dello scontro furono trovate, agli inizi di questo secolo, da alcuni tecnici intenti a tracciare le fondamenta dell’idrovora, che aveva dato luogo alla cosiddetta “bonifica Ongaro”. Era l’ottobre del 1903 quando, nei pressi di quella che oggi è conosciuta come “Valle Ossi” vennero rinvenute decine di scheletri allineati: quanto restava dei giovani periti durante gli scontri tra le due città sorelle. A tormentare ulteriormente l’esistenza di Eraclea erano i pirati dalmati, instancabili predatori delle rotte orientali. La situazione si faceva difficile per la città e, nel 697, venne indetta l’adunanza generale dei cittadini nella cattedrale di S.Pietro Apostolo. Patriarca, nobiltà, “popolo” decisero che, di fronte ad un momento così grave per le sorti future della città, era indispensabile affidare le redini del governo ad un uomo solo, eletto da tutti i cittadini, qualunque fosse il loro ceto. Paoluccio Anafesto fu così nominato primo Doge.
Sotto il governo illuminato dei Dogi, Eraclea visse un’epoca di splendore, passando di vittoria in vittoria, sempre strettamente legata all’alleato bizantino. Memorabile, in questi anni, fu la riconquista della città di Ravenna, caduta in mano longobarda. Sotto la guida del Doge Orso Partecipazio (726-736) la flotta eracleense forte di 80 navi salpò da Malamocco alla volta di Ravenna, già dominio dell’esarca di Bisanzio, ora sotto il giogo di Liutprando, re dei logobardi. Le armi eracleensi potevano contare sul temibile “fuoco greco”, una sorta di arma segreta dell’antichità, la cui tecnica di fabbricazione era mantenuta sotto il più stretto segreto da decenni nell’impero romano d’oriente. La flotta giunse nottetempo sotto le mura di Ravenna (allora l’Adriatico ne lambiva ancora le cinta murarie). A fianco degli eracleensi combattevano l’esarca fuoriuscito con le sue milizie: ancora una volta Eraclea scendeva in campo dalla parte delle aquile romane, contro i “barbari” del nord. La battaglia si concluse alle prime luci dell’alba, con la cattura del principe longobardo Ildebrando e la distruzione di gran parte del suo esercito. Intanto si riaccendevano gli attriti con l’antica rivale, Jesolo, sfociati in cruente battaglie che si protrassero, con alterne vicende, sino alla fine del secolo, conducendo le due città sull’orlo della distruzione reciproca. Eraclea uscì dalle guerre contro Jesolo completamente dissanguata, le mura abbattute, la potenza navale scomparsa. La situazione, di per se tragica, venne aggravata da una massiccia scorreria dei franchi. A tutto ciò fece seguito la migrazione della popolazione verso Malamocco, Torcello e Rialto, ove si stabilirono tutte le famiglie facoltose dell’antica nobiltà eracleense. Abbandonati gli argini, sviati i corsi d’acqua, tutta la zona si trasformò in palude.
Verso l’815 si hanno ancora notizie del centro, ormai divenuto rurale, di Eraclea, noto d’ora in avanti con il nome di Cittanova.
© 2024 am+