Decano di Oderzo dal 1854 al 1867. Fu vicario foraneo, ispettore scolastico ed esaminatore pro sinodale. Acceso sostenitore dei diritti pontifici nella cosiddetta “questione romana”. Malgrado il sostegno del vescovo Manfredo Bellati, dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, Mons. Carlo Nardi, di sentimenti austriacanti, fu costretto a dimettersi e ad accettare l’investitura del beneficio di Vazzola, dove aveva avuto i nobili natali.
Giuseppe Migotto, La figura di Carlo Nardi, decano di Oderzo dal 1854 al 1867, «IL DIALOGO», Aprile 2013, pag. 16
Nel palazzo di una famiglia di esuli fiorentini trasferita in questo lembo di Marca trevigiana intorno alla fine del XVII secolo, nacque da Giovanni e da Maria Curti, nel 1808, Francesco Nardi che si laureò in teologia, filosofia e diritto civile ed ecclesiastico e fu segretario della congregazione dei vescovi e religiosi. Uomo di grande cultura, conosceva una trentina di lingue, godeva della stima dei personaggi più illustri del suo tempo e fu benemerito per l’attività svolta a favore della Santa Sede. Mentre Pio IX stava per concedergli la porpora cardinalizia, nel 1877, morì a Roma. Riposa nella chiesa di Santa Maria in Campitelli.
Di sette anni minore fu il fratello Carlo (1815-1881), che insegnò storia ecclesiastica e diritto canonico nel seminario di Ceneda. Fervido patriota, cappellano della locale guardia civica, nel 1848, incitò nella pubblica piazza i concittadini ad arruolarsi. L’ardore gli costò la cattedra e la nomina ad arciprete di Fregona, negata dal generale Radetzky. Alcuni anni più tardi si vide costretto a deplorare l’attività politica per assumere il decanato di Oderzo (1854) durante il quale gli fu offerta la cattedra vescovile di Concordia e trovò il tempo di scrivere un trattato sul sentimento religioso del secolo XIX e sui Concili (Venezia 1857).
Ben presto, fu nominato ispettore scolastico dal vescovo Manfredo Bellati per lo svolgimento del quale incarico riceverà, qualche anno più tardi, un decreto d’encomio dalla luogotenenza. Il decano Carlo Nardi conquistò presto il popolo opitergino con l’eloquenza, riconosciuta anche dai predicatori che venivano da fuori per i riti della Quaresima. Sapeva colpire anche chi attaccava la Chiesa. I rapporti con la Congregazione Municipale, nei primi anni, furono più che soddisfacenti. Nell’occasione del faustissimo parto dell’Imperatrice, l’8 marzo 1855, l’assessore Pompeo Tomitano volle consegnare al Decano i proventi delle contravvenzioni annonarie perché fossero distribuiti a dodici poveri “vergognosi” mentre il podestà Wiel offrì un pasto sostanzioso di riso e carne a cento poveri. Lo zelo pastorale di monsignor Decano si manifestò anche in concomitanza del colera che fece vittime nell’estate dello stesso anno. Il decoro dell’abbaziale era nei suoi pensieri e, nel luglio 1858, riuscì a dotare la Chiesa opitergina di una casa canonica per non essere costretto a chiedere ospitalità a palazzo Amalteo in Borgo maggiore per le visite del Vescovo.
La nomina a Decano non era, tuttavia, mai piaciuta ai liberali della città che vedevano in lui un acceso sostenitore dei diritti pontifici nella cosiddetta “questione romana”. In certi ambienti, l’avversione nei suoi confronti si faceva sempre più accesa e a volte violenta. L’11 agosto e il 26 settembre 1864 vennero fatti scoppiare petardi contro la sua casa d’abitazione ad Oderzo. In un documento del 21 luglio 1866 la Giunta Municipale di Oderzo formata per gestire la delicata transizione e preoccupata di garantire l’ordine pubblico, non usa giri di parole per giudicare l’operato del decano Nardi: «Egli aveva in ogni tempo, in ogni opportunità, in ogni circostanza oltrepassato il limite della moderazione, e con forme, modi e parole si aveva lasciato trascorrere, sulla via di uno smodato interessamento politico, alla lode, sostegno, e favore per la testé caduta dominazione, non omettendo di predicare continuamente, e in chiesa e fuori, l’ostracismo contro a chi con tanto onore e munificenza regge le cose d’Italia, e contro a suoi ministri». All’indomani dell’annessione del Veneto al Regno d’Italia, il Decano decise pertanto di rinunciare alla cattedra di Oderzo per eliminare ogni ragione di turbamento delle coscienze e di accettare il beneficio di Vazzola, dove finì i suoi giorni nel 1881 e dove una lapide nella chiesa arcipretale lo ricorda. Per la sua fedeltà Pio IX lo aveva insignito della dignità di protonotario apostolico.
«Siamo alla conclusione della vicenda», annota Ulderico Bernardi che delinea efficacemente la figura del decano Carlo Nardi nel libro sull’emigrazione che racconta “Il lungo viaggio dalle terre venete alla selva brasiliana”. «L’accanimento dei "patrioti" si è imposto sulla Chiesa locale». Trascorse nel silenzio un certo lasso di tempo. Il vescovo Manfredo Bellati, che sostenne a lungo il suo parroco, dovette prendere atto della rottura definitiva e di suo pugno, il 31 maggio 1867, affidò ai mansionari la cura d’anime della comunità. La Chiesa opitergina rimase priva di titolare per quattro anni, retta dagli economi spirituali e rappresentata presso le autorità civili da don Vincenzo Pigozzi, uno dei mansionari. Un nuovo Decano venne insediato il 29 aprile 1871: è don Giuseppe Moretti che manterrà la carica per quarantacinque anni, morendo il 4 luglio 1916. Alla sua figura mons. Piersante ha dedicato un profilo nel Dialogo di novembre 2012. Lo ricorda una lapide con fotografia collocata nella cappella dei sacerdoti nel cimitero cittadino.
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