Angelo "Elo" Caramel era figlio del pittore Giacomo Caramel (1890-1988) e fratello dell'appena più giovane Sergio Palmi Caramel (1925-1981). Mentre compie gli studi classici, mostra sensibilità al disegno e alla pittura, si dedica precocemente alla poesia e nel 1945 arrivano a stampa i suoi versi con la raccolta Prime voci. Meditabondo, culturalmente curioso e ansioso di evasione se non di ribellione dalla realtà che lo attornia, nel 1946 espatria in Francia, verso Parigi, attirato da «sogni di pittori, poeti, cinematografi»(1).
Da clandestino viene però fermato e rinviato in Italia. Sulla strada del rientro si trattiene a lavorare per qualche tempo nelle risaie vercellesi per «capire con la pelle cosa sia l'ingiustizia sociale». Quando ritorna infine a Venezia, sceglie quella pittura e quel disegno che gli sono "congeniti" e frequenta per un biennio (1949-50) la Scuola libera del Nudo con Armando Pizzinato all'Accademia. Nello stesso tempo studia intensamente sia le filosofie classiche sia, soprattutto, quelle orientali, in traccia del «dio non rivelato e altissimo, che s'annida, forse, e va scovato dentro di noi». È un periodo febbrile che - dai pochi resti "salvati" (pittorici e poetici) - testimonia di un "dominio della tela" «vasta, severa cruda, in sintonia con altre sensibilità nervose ed eccelse di quegli anni» e di un incedere poetico (Pensieri sulla morte del 1952) che non è dissimile da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese. Diciamo "salvati" perché Angelo, «convinto della vacuità di ogni ricerca umana», nel 1958, come in un auto da fè canettiano, distrugge quasi tutti suoi dipinti e le numerose poesie inedite. Amici del pittore erano Tancredi, Bepi Longo, Giovanni Pontini(2), «artisti maledetti, creature inquiete, destinate a vivere in fretta ... non a sopravvivere comunque».
Una via di resistenza restava: continuare gli studi filosofici - le «profondità d'oriente», anzitutto - e frequentare Lettere e Pedagogia all'Università di Padova. Andando a Padova per studiare, lo troviamo anche ad insegnare: cantastorie, "contaarte" per bambini. Per converso la sua arte si è imposta il silenzio. Solo dopo un decennio di latenza nel 1967 si riaffaccia - risalita dagli inferi o ricaduta dall'empireo - su un quadernetto, concependo «orbite più impressioniste che astratte, short cuts dell'anima, del tempo circostante, rasoiate impietose, occhi felini che scrutano il vuoto; diario d'arte totale, cosmico, Libro dell'inquietudine. Non solo buio...». Riprende l'attività artistica con disegni di piccolissimo formato, ma «crea e distrugge» sino alla fine, disegnando nelle osterie veneziane, regalando i suoi lavori agli amici di una sera. Si ritrae spesso, «sempre più vuoto, essenziale: E.T.(3) alla fine del giorno». L'ultimo tempo da scorrere popola le sue figurazioni di «mondi marini, nerofurenti, aggrovigliati o nitidi. Vaghe tracce di universi femminili». Il raggio che insegue, il disegno dei disegni, è in un altrove ineffabile. L'amico Armando Pizzinato(4) ne ricordò un incontro notturno veneziano: «coricato sulla spalletta di un ponte, il viso teso e illuminato, gli occhi infiammati, guardava la moltitudine delle luci nel cielo quasi nero e, in quello spazio fondo, senza fine, inseguiva un suo disegno, qualcosa di inesprimibile ma esaltante che gli dava una grande gioia».
In una poesia scritta in punto di morte, «canto di ironia e consolazione infinita», Elo - «Don Chisciotte purissimo» - si congeda fingendosi "Sancho Panza", col tormento della malattia che l'ha colpito «nel proprio popolar / cognome: Pancia»(5). Muore nel 1970, «corroso dal sale dell’inquietudine e dai fumi dell’alcool». S'era fatto promettere dai suoi parenti di non metter mai la sua arte nelle mani dei mercanti critici e dei servi. Per dolorosa coerenza, in vita, non aveva mai fatto una mostra delle sue opere(6), in accesa polemica sullo "stato dell'arte e dintorni" del suo tempo, in orrore per «i cririci e i loro carrozzoni, smerciatori d'arte». Dal 4 dicembre 1971 al 7 gennaio 1972, a Ca' Vendramin Calergi, il comune di Venezia, l'Assessorato alle Belle Arti e il Casinò Municipale di Venezia organizzarono una mostra retrospettiva in suo omaggio. Ma presidiatori furono il padre e il fratello: «Giacomo raccolse nella stanza di Angelo Elo i quaderni d'appunti con gli schizzi questionanti e crudi [...] per organizzarne un senso» e Palmi ne «allestisce mirabilmente la cornice». Le opere di Elo erano ancora custodite dagli eredi fino al 1995, quando un'antologia di queste illustrò la pubblicazione (Giacomo, Angelo, Sergio, Claudio Caramel attraverso il '900) che il nipote Claudio Caramel dedicava a lui, a Giacomo, il nonno, e a Sergio, il padre: «Il libro è piccolo, come piaceva a te: sta in scarsella» (← La casa di Jaco | lacasadijaco.it/acaramel)
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