[a. m.] Michele Colombo nacque il 5 aprile 1747 a Campodipietra, frazione di Salgareda (Treviso), da Iacopo e da Francesca Carbonere, e fu educato inizialmente dal sacerdote del paese. Com'era pratica comune fra Settecento e Ottocento quando la carriera ecclesiastica poteva aprire la strada alla carriera intellettuale, nel 1764 entrò nel vicino seminario di Ceneda per il regolare corso di studi fino all'ordinazione sacerdotale, dopodiché venne assunto come precettore presso diverse famiglie nobiliari.
Nel seminario di Ceneda aveva stretto un'affettuosa amicizia con Lorenzo Da Ponte, durata epistolarmente anche quando il famoso librettista mozartiano si stabilì a New York come testimonia nelle sue Memorie ricordando alcune gustose vicende di quella vita comune. Michele Colombo, poco prima di morire, inviava ancora all'amico un sonetto sugli acciacchi della propria vecchiaia.
Classico rappresentante di erudito-tuttologo con una cultura enciclopedica dalle scienze naturali alla filologia, viaggiò per l’Italia e l’Europa intrecciando relazioni con i maggiori rappresentanti della cultura del tempo e scrisse numerosi saggi sugli argomenti più disparati, con una predilezione particolare per la filologia, gli argomenti linguistici e la critica letteraria.
Nel 1812 dopo intense stagioni di viaggi, di incontri, di ricerche e di studi e l'ormai lunga esperienza di lettore, di cultore della lingua e di educatore, si lasciò convincere dai suoi estimatori a pubblicare la sua prima opera d'impegno teorico e didattico, il Catalogo di alcune opere attinenti alle scienze, alle arti ed ad altri bisogni dell'uomo, le quali quantunque non citate nel vocabolario, della Crusca, meritano per conto della lingua qualche considerazione. Aggiuntevi tre lezioni su le doti di una culta favella. Sulla questione della lingua egli mostrava una concezione moderatamente progressista: critico dell'intransigenza puristica di una lingua solo letteraria e propenso ad una lingua arricchita sia dall'apporto dei linguaggi settoriali delle scienze, sia dalla lezione dei classici cinquecenteschi, le cui forme - se non attestate negli scrittori del Trecento - erano a priori rifiutate dai puristi.
Il successo del Catalogo in ambito letterario gli valse la nomina a socio di diverse accademie, dall'Ateneo di Treviso (1816) all'Accademia della Crusca di cui aveva meritato la corona nel concorso indetto nel 1817. Produsse da allora una miriade di articoli e brevi saggi, curò riedizioni di classici - il Decameron (1814), la Gerusalemme liberata (1824), le Cento novelle antiche (1825) - e si impegnò anche nella polemica tra classicismo e romanticismo che in quegli anni agitava il mondo letterario, apportandovi argomentazioni critiche ma anche un'ironia che sdrammatizzava la contesa. Giudicava la nuova moda romantica, intrisa di tragico e di patetico alimentata dall'immaginativa propria dell'ambiente nordico, inadatta alla mediterranea Italia, che non poteva che essere classicista, proponendo invece un canone fondato sui classici del secolo precedente (Metastasio e Parini). Queste riserve contenute nel discorso Intorno alle discordie letterarie d'oggidì (1827), non gli impedirono in un articolo del 1837, pur avendo da poco criticato la moda del romanzo storico in una lettera a Domenico Olivieri, di esprimere un giudizio molto positivo sui Promessi sposi e premettere una breve prefazione alla ristampa parmense del romanzo manzoniano agli inizi del 1838. Non secondaria per la fama goduta in vita fu anche la lunga collaborazione tra Michele Colombo e l'editore parmense Giuseppe Paganino, che credette nella stampa completa dei suoi scritti dal primo volume nel 1814 al quinto nel 1837.
A Parma, città nella quale risiedeva dal 1820, Michele Colombo morì nel 1838, a 91 anni, dov'è sepolto nell'ex chiesa di S. Andrea Apostolo ricordato dalla seguente epigrafe:
Lettera interamente autografa di Michele Colombo redatta presso Parma il 30 Settembre 1825.
«Lettera manoscritta con firma autentica di Michele Colombo in cui chiede al suo interlocutore un favore: inizia dicendo che il signor Cavedoni ha parlato nell'ultimo fascicolo del suo giornale di una sua propria piccola fatica, che ha al tempo stesso censurato in piccola parte; ha pensato quindi di testimoniare i segni della sua gratitudine con una lettera, nella quale vorrebbe inoltre rispondere circa le di lui censure, con tutto il riguardo che si conviene a una persona tanto cortese e dotta; chiede quindi che la lettera sia inserita nel giornale, assicurandogli che sarà lui stesso a sostenere la spesa necessaria a tal fine; infine chiede che prima della pubblicazione la lettera sia fatta leggere al signor Cavedoni in modo tale che qualora ci fosse qualcosa che gli dispiacesse potrebbe correggerla per tempo» [https://www.galileumautografi.com/autografo.php?id=3502&nome=autografo-di-michele-colombo-letterato-censura-opera-da-parma]
https://www.calcografica.it/stampe/inventario.php?id=S-FN34780
Tra le opere di Michele Colombo, a riprova del suo eclettismo, non sarebbe giusto dimenticare anche la traduzione di un libro inglese sul gioco degli scacchi. Lo pubblicò dapprima nel 1821 in forma anonima, palesandosi poi come traduttore del trattato scacchistico inserito in un libro di vari argomenti presso l'editore Giuseppe Orlandelli nel 1824. Libretto riedito ancora più volte grazie alla fortuna incontrata | cci-italia.it
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