Anche in altre sedi Claudio Rorato aveva in precedenza trattato di questi luoghi ed edifici sacri.
Un suo contributo aggiornato sull'argomento è stato pubblicato recentemente nelle pagine dedicate ai "Luoghi del Sacro in terra Unesco" da parte di QDP/Conoscere.
Claudio Rorato, I segreti dell’antica San Bonifacio a Levada e la ricostruzione della chiesa di Negrisia di Ponte di Piave
Fonte: QDP CONOSCERE, 28 marzo 2024 | qdpconoscere.it/luoghi-del-sacro/luoghi-del-sacro-tra-piave-e-livenza/i-segreti-dellantica-san-bonifacio-a-levada-e-la-ricostruzione-della-chiesa-di-negrisia-di-ponte-di-piave/
[di Giuliano Ros]
Cappella filiale della chiesa di S. Maria Annunciata di Busco, la chiesa di San Nicolò di Ponte di Piave seguì le sorti dell’abbazia “nullius diocesis” di S. Andrea di Busco, fondata dal monastero benedettino di Pomposa (IX secolo), ridotta a commenda (1463), affidata ai monaci cistercensi (1547-1621) e infine ai monaci benedettini cassinesi (1621), che la gestirono fino alla soppressione stabilita dal Senato Veneto (1771). La località è documentata per la prima volta in un atto del 1222 (conservato all’Archivio di Stato di Treviso), nel quale un certo pre Ramerio affitta terre dell’abbazia di Busco «in villa Sancti Nicolai de Candoledo prope ecclesiam».
Costruita nel 1611 al posto del precedente edificio medievale, la chiesa di San Nicolò venne profondamente ristrutturata con «abbondanti sovrapposizioni tardo-barocche» nel 1770 (all’epoca di don Onorio Parpagiani) e infi ne restaurata nel 1885 (all’epoca di don Andrea Biffis) con il ritorno alle sue forme originarie e il ripristino delle antiche finestre rettangolari. Pesantemente danneggiata dal furore della Grande Guerra (1918), venne ristrutturata e abbellita nel 1921 (all’epoca di don Carlo Tomio) al punto da essere dichiarata nel 1984 «di interesse storico e artistico» dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali (durante la gestione di don Pietro De Piccoli). Dotata di cimitero sul sagrato sin dal 1741 (poi spostato nell’attuale sede), è affiancata da un campanile realizzato nel 1951 da Luigi Candiani da Mareno, caratterizzato da una «torre squadrata e austera» (O. Drusian) su cui è stato posto nel 2016 un orologio.
È costituita da un’unica navata con quattro cappelle laterali, abside poligonale e facciata neoclassica timpanata, scandita da un ordine gigante di paraste ioniche, poggianti su alti basamenti di tipo palladiano. Sul lato sud campeggia una Meridiana con il motto “Ruit hora”, restaurata nel 1987 da Ilario Padovan da Musile, autore altresì del San Nicolò con le insegne episcopali (pastorale e libro chiuso), affrescato nel 1994 nella lunetta sopra il portale.
La porta principale (1988) è rivestita con nove riquadri in rame contenenti le immagini sacre di San Nicolò di Myra con ai lati i tre naviganti salvati dalle acque e le tre fanciulle salvate dalla prostituzione (in cima), San Giuseppe con Gesù adolescente (riproducente la pala interna di G. Modolo), Madonna del Rosario (riproducente la statua interna), Tetramorfo dei santi Marco, Luca, Giovanni e Matteo (al centro), San Pietro (in basso a sinistra) e Il pesce eucaristico, simbolo che rimanda al termine greco “ichthýs”, interpretato come acronimo di “Iēsoûs Christòs Theoû Yiòs, Sōtér”. Sulla bussola interna della porta principale Enrico Anzanello da Mansuè ha installato nel 1988 una vetrata con le immagini di San Nicolò e Madonna con Bambino.
Lo spazio interno è scandito orizzontalmente da un aggettante cornicione in pietra viva sormontante il tipico schema ritmico rinascimentale, costituito da lesene ioniche poste tra le aperture delle cappelle ad archi a tutto sesto, impostati su cornici laterali alle lesene. L’arco trionfale interrompe il cornicione, delimitando il movimentato spazio voltato del coro e dell’abside, all’interno del quale si ripete la bicromia della pietra e delle campiture intonacate (G. Gabrielli Pross).
Oltre alle nicchie a lato dell’ingresso, che ospitano il fonte battesimale e il confessionale (realizzato da Luigi Toffoli di Menarè con vetrata raffigurante San Leopoldo confessore), le cappelle laterali custodiscono quattro altari: l’altare in marmo del Sacro Cuore di Gesù con statua (istituito nel 1963) e l’altare di S. Antonio da Padova con statua (ritoccata da Luciano Pascon nel 1984). La cappella in cornu evangelii, un tempo dedicata alla Santa Croce e dotata di una Crocifissione su tela (asportata nel 1918), ospita ora l’altare in marmo di S. Giuseppe Padre della Divina Provvidenza, costituito da un dossale con marmi decorati da Elio Poloni da Ponte della Priula e una pala realizzata nel 1984 da Giuseppe Modolo da Mareno in sostituzione di una oleografia del 1922 con il medesimo tema (ora trasferita in sacrestia). L’ultimo patriarca della Bibbia è rappresentato in forma moderna a guisa di un padre amoroso che accudisce e presenta con orgoglio il figlio che gli sta davanti come «parte e scopo della sua esistenza», emanando serenità, tenerezza e complicità in virtù di un palese «rapporto personale di uno scambio d’amore che traspare» (M. T. Tolotto). La scure piantata sul tronco rimanda all’officina (tema iconografico iniziato nel XVI secolo), ove Giuseppe faceva il «falegname e niente altro fabbricava con il legno se non gioghi per i buoi e aratri e arnesi per rivoltare la terra o adatti alla coltivazione e faceva anche giacigli di legno» (Vangelo dello Pseudo-Matteo). Di particolare valore devozionale è l’altare della Madonna del Rosario, affiancato da una lapide che ricorda che a causa della bomba caduta in chiesa nel 1918 «la statua della Madonna venne solo scalfita».
L’altare maggiore, dedicato al santo patrono, possiede un tabernacolo in marmo, sopra cui è esposta la pala tardo-manierista dell’Incoronazione della Vergine sopra san Nicola in trono tra i santi Giovanni Battista, Carlo Borromeo, Antonio da Padova e Filippo Neri (1630), attribuita ai pittori fiamminghi Melchiorre e Baldassarre D’Anna, attivi a Venezia e in Dalmazia. Completano i manufatti artistici una Via Crucis con doratura eseguita da Sergio Simeoni e Claudio Papes da Albina (1983), le dieci vetrate realizzate nel 1985 dalla ditta Caron da Creazzo (diretta da Piero Modolo, figlio di Giuseppe) e un crocifisso in cornu epistolae, donato nel primo dopoguerra dal parroco di Ponte di Piave.
Giuliano Ros, La chiesa di S. Nicolò di Candolè, monumento di interesse storico e artistico, «IL DIALOGO», Anno LIX, n. 5, Maggio 2022, p. 15
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Il più antico documento relativo all'abbazia di S. Andrea di Busco risale al 1154, quando una bolla di papa Anastasio IV riconfermava il monastero all'abbazia benedettina di Pomposa. Nel 1445, a causa di perduranti difficoltà economiche e di reclutamento, il monastero fu avviato alla pratica commendatizia; nel 1574, l'abate commendatario Paolo Giustiniani, desideroso di un recupero della vita religiosa, vi chiamò i monaci certosini, che rimasero nel cenobio sino al 1614. Nel 1618, infine, il monastero fu aggregato, con approvazione di Gregorio XV, alla Congregazione di S. Giustina di Padova. Il cenobio fu soppresso con decreto esecutivo del Senato veneto nel 1769 e definitivamente abbandonato dai religiosi nel 1785.
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