È recentissima (di febbraio 2022) la ristampa di un aureo libretto di Piero Brunello, Acquasanta e verderame, uscito la prima volta nel 1996 da Cierre edizioni. Con modifiche e aggiornamenti e una rifusione dei testi in nuovi paragrafi e capitoli, la riedizione porta ora il titolo Lo zolfo e l'acquasanta. Parroci agronomi in Veneto e in Friuli nel periodo austriaco (1814-1866).
L'importanza dei legami simbolici tra sacro e fertilità nelle società rurali è questione assodata. Nessuna sorpresa che anche nel Veneto rurale «le scadenze del lavoro contadino fossero segnate dalla devozione ai santi e dal calendario della Chiesa cattolica, e che il buon esito dei raccolti fosse affidato alle benedizioni del clero e alle processioni nei campi. Oltre ad allontanare malattie e avversità atmosferiche, i riti propiziatori, che si svolgevano ai confini dei poderi e davanti ai capitelli, rafforzavano simbolicamente le proprietà e le gerarchie sociali».
Nuovo è il fatto che rispetto ad innovazioni tecnologiche e moderne pratiche agronomiche, come quelle introdotte almeno a partire dalla seconda metà del Settecento, fu il parroco ad essere «il mediatore più adatto» anche per insegnare le materie agronomiche, senza che fosse sentito in contrasto «con le credenze magiche – e con esse l'ordine sociale, morale e religioso tradizionale». Il parroco, conoscitore sia del "dizionario del cittadino” sia di quello “del contadino”, spesso proveniente lui stesso dalla campagna, «impartiva nozioni utili alle tecniche agricole e allo stesso tempo norme di comportamento morale; insegnava cioè non solo come dar zolfo alle viti ma anche come le donne di campagna dovessero vestirsi e come i poveri dovessero trattare i ricchi (e viceversa)».
L'argomento del libro è dunque questo interesse dei parroci di campagna all’agricoltura e ai miglioramenti agricoli, nel contesto delle province venete e friulane che fecero parte del Lombardo Veneto austriaco, dopo esser dipese «dal governo di Venezia che, in tema di rapporti tra stato e chiesa, aveva una tradizione politica diversa dalle regioni confinanti».
«Era normale che un parroco si tenesse informato sulle novità nel campo degli aratri, delle rotazioni, dell’allevamento dei bachi da seta, dei rimedi contro la malattia della vite? Data la grande distanza tra città e campagna, chi insegnava ai contadini a mettere in pratica i suggerimenti e le scoperte degli agronomi? E infine, dal momento che ai contadini era stato insegnato che buono e cattivo tempo, raccolti abbondanti e carestie, piogge e siccità, tutto veniva da Dio, in che modo potevano accettare di combattere con lo zolfo un castigo del cielo come la crittogama?»
Brunello risponde in ognuno dei quattro capitoli del libro chiarendo un aspetto particolare.
Il primo capitolo offre una messa a punto del ruolo del parroco. Nel Lombardo Veneto, «oltre a essere ministro del culto, è anche un funzionario statale: in pratica deve mediare tra sudditi e autorità politiche» e gode di entrate economiche che gli consentono «qualche margine di autonomia sia dallo Stato che dai signorotti del paese». Nello svolgimento di questi compiti "politici", l’atteggiamento del clero cambia nel corso del tempo «dalla tradizionale fedeltà all’autorità politica – prima Venezia, poi Vienna – all’obbedienza al papatoNota 1, dopo l'Unità, e ad una visione «antistatale e antiliberale», di fine secolo. Prima il ruolo del clero nelle campagne è legittimato dalle autorità civili, poi fu assicurato «dall’organizzazione centralistica del clericalismo intransigente che fa capo a Roma».
Nel secondo capitolo Brunello esamina il ruolo di tali parroci di campagna – stretti «tra la religione popolare che li vuole stregoni e la gerarchia ecclesiastica che invece vuole distinguere nettamente religione da magia» – e delinea il loro atteggiamento nei confronti dei parrocchiani «che chiedono benedizioni contro qualsiasi disgrazia o malattia accada ai raccolti, alle piante, ai bambini, alle donne, agli animali del cortile e della stalla».
Il terzo capitolo è dedicato alla figura di Lorenzo CricoNota 2, parroco di Fossalunga nel Trevigiano, che scrisse molto su argomenti attinenti all’agricoltura e ben si presta ad esemplificare l'argomento trattato.
«Che cosa sta a cuore a un parroco agronomo? Con chi parla, e di che cosa? Parla con uomini, con donne, con capifamiglia, con giovani, con proprietari, con contadini o con artigiani? E che cosa consiglia? Quale atteggiamento assume con i contadini e con il proprietario? Ha paura delle innovazioni o cerca di imporle? Ed eventualmente come mette assieme le novità tecniche ed agronomiche con la salvaguardia dei comportamenti che egli ritiene "antichi" e "tradizionali"?»
Poiché l'attivismo culturale del Crico non è un'esperienza isolata, ma interna al grande interesse per l’agricoltura diffusosi a partire dagli anni quaranta dell’Ottocento in Veneto e in Friuli (in verità fenomeno non solo locale, ma europeo), l'autore mostra quanto si può cogliere «nei giornali, nei discorsi in pubblico e nei salotti, nel sorgere di nuove associazioni, nella quantità di studi, esperimenti e innovazioni tecniche che riguardano i lavori dei campi». Ne è un esempio il periodico L’amico del contadino, edito a San Vito del Tagliamento dal conte Gherardo Freschi. «È un giornale che vede nel parroco il maestro dei contadini nelle cose di agronomia. I parroci di campagna sono il pubblico del giornale; alcuni di loro mandano articoli, lettere»Nota 3.
Nell'ultima parte del libro l'attenzione si concentra sul quindicennio precedente all’Unità, periodo di brutti raccolti, della malattia della vite e del baco da seta. La conclusione è che «i parroci suggerivano le innovazioni agronomiche, come ad esempio lo zolfo contro la crittogama, senza abbandonare le benedizioni alle viti richieste dai contadini: in questo modo le novità tecniche potevano imporsi senza sminuire il ruolo del clero nei paesi, né compromettere gli equilibri sociali e i ruoli di genere». In termini storiografici viene sfatato che l’immagine della società contadina presentata nell’Ottocento «sia il riflesso di una realtà esistente», trattandosi invece di «uno schema retorico sul quale fondare la prescrizione di regole e di norme di comportamento».
In Appendice, Brunello riassume le prime due sezioni dei dialoghi di monsignor Lorenzo Crico, Il contadino istruito dal suo parroco, pubblicate a Venezia nel 1817, rispettivamente dedicate all’Economia domestica e all’Economia rustica, e aggiunge – rispetto alla prima edizione – una relazione tenuta presso il Dipartimento di studi storici, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dal titolo Il parroco nel Lombardo Veneto. Lettera a Demir Mustafà, rom macedone.
Dalla propria ricerca l'autore crede possibile ricavare, tra le altre cose, anche un contributo che possa spiegare meglio «il perdurare di equilibri sociali e di mentalità diffuse nei distretti industriali sorti in Veneto dopo la fine del mondo contadino».
[Le citazioni virgolettate sono tratte dall'Introduzione di Piero Brunello | edizioni.cierrenet.it/.../lo-zolfo-e-lacquasanta]
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Angelo Natale Talier (1744-1818)
Lorenzo Crico (Noventa di Piave, 1764 – Venezia, 1835)
Giovanni Rizzo (Altichiero - Padova, 1825 - Salboro, 1902)
[1869] Catechismo agricolo ad uso dei contadini compilato dal parroco d. Gio. cav. Rizzo, con due appendici su alcuni pregiudizi dei contadini e sulle misure e pesi metrici, Coi tipi del Seminario, Padova, 1869 | Ristampa anastatica, Padova 2003, a cura di Lino Scalco | Ristampa, Panda Edizioni, 2012 | Reperibilità: amazon.it/Catechismo-agricolo-uso-dei-contadini
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