Mons. Giuseppe Moretti (Cison di Valmarino, 1838 - Oderzo, 1916)
Fu parroco decano di Oderzo per quasi mezzo secolo, dal 1871 al 1916, dalla fine del potere temporale dei papi alla prima guerra mondiale. Fu insediato a Oderzo dopo tre anni di sede vacante da quando monsignor Carlo Nardi aveva abbandonato la parrocchia su pressione dei maggiorenti della città. Dovette parere al vescovo Cavriani il sacerdote giusto per una situazione come quella opitergina così deteriorata sul piano dei rapporti tra il clero e le "élites liberali", dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia e la Breccia di Porta Pia con l'occupazione della città papale. Mons. Moretti, proveniente dall'insegnamento nel Seminario diocesano, non era estraneo alle idee risorgimentali e all'orientameto antitemporalista, similmente ad altri confratelli, ma - come il suo predecessore Carlo Nardi, che da liberale era divenuto estimatore dell’Austria a causa degli scontri con chi determinava il clima politico opitergino dopo il 1866 - sperimentò il disagio del rapporto con i nuovi governanti e il difficile equilibrio imposto all'azione pastorale in una società che si temeva destinata a laicizzarsi quando non perfino a scristianizzarsi. Chi ne ha studiato la figura e il ruolo riconosce nel prelato l'efficace mix di umiltà, prudenza ed intelligenza avute nel muoversi nella comunità opitergina, fino a conquistarsi stima e benevolenza «presso ogni ordine di cittadini», come si espresse il Consiglio Comunale, concedendogli nel 1876 - a cinque anni dal suo arrivo a Oderzo - dei contributi a lungo richiesti all'ente locale e dapprima ripetutamente rifiutati per la sistemazione della canonica inagibile, la messa in sicurezza del campanile, i restauri dell'organo e del cimitero.
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Da sacerdote, don Moretti era stato chiamato all’insegnamento nel Seminario diocesano e condivise allora la tendenza di altri suoi confratelli ad abbracciare le idee risorgimentali, fino ad auspicare che la Chiesa cedesse il suo dominio temporale per favorire l’unità politica della penisola. Era la posizione "antitemporalista", come si diceva allora. Ma il clero non si trovava a suo agio con le élites liberali che dettavano legge dal Piemonte. Si era rassegnato all’Austria anche perché temeva il governo liberale, che si mostrava sempre più con il suo volto giacobino e sarebbe stato certamente poco rispettoso delle tradizioni religiose della gente veneta. Così si comprende il passaggio di persone come mons. Nardi, abate di Oderzo, da liberale a sostenitore dell’Austria, un passaggio che gli costerà il sentimento ostile della sua popolazione. All’indomani del plebiscito del 1866, quando tutti votarono per l’annessione al Regno, il Nardi dovrà abbandonare la parrocchia. Va notato che non solo lui, ma anche i due altri precedenti parroci si erano ritirati, questa volta di loro volontà, pur avendo tutti meno di 60 anni.
Mentre i piemontesi si preparavano a scendere con gli eserciti ad occupare la città dei Papi, i rapporti tra chi determinava il clima politico opitergino e i pastori non dovevano essere affatto facili: il nuovo decano, che doveva succedere a mons. Nardi, arrivava in città dopo tre anni di sede vacante ed era il Moretti. Anche per il Vescovo era quindi molto difficile trovare il sacerdote giusto, in quel frangente!
Mons. Moretti trovò a Oderzo la situazione di povertà che caratterizzava tutte le zone rurali d’Italia. Una canonica inagibile, il campanile da mettere in sicurezza, l’organo e il cimitero bisognosi di restauri. Difficile farsi assegnare contributi dall’ente locale, vista la tensione politica. Dovette rivolgersi ripetutamente al Consiglio comunale, ma senza risultati apprezzabili, così da ripiegare sulle sue risorse personali. Possiamo leggere una sua lettera del 1876, a cinque anni dall’arrivo a Oderzo, nella quale si rivolge alle autorità del Comune e dice senza mezzi termini: «Vi supplico di sottrarmi alla necessità ben crudele di continuare a lungo un indebito aggravio alla mia famiglia». Il Sindaco di allora con il plenum dei voti del Consiglio Comunale (16 su 16) appoggiò e decise il richiesto favore, «dati i meriti grandissimi del richiedente e la stima da lui acquistata presso ogni ordine di cittadini»1. "Pater pauperum", il nuovo decano si era mostrato pronto ad assistere la popolazione nelle varie calamità del tempo: le ricorrenti epidemie di colera, le piene del fiume, il terremoto del 1873. Mons. Moretti, con la sua umiltà e con la benevolenza, che poco a poco era riuscito a conquistarsi presso la popolazione, arrivò ad avere quei sussidi che gli permisero di portare a buon fine le opere più necessarie per la parrocchia.
Ma fu soprattutto con la sua attenzione al problema educativo dei ragazzi che mostrò tutta la sua prudenza pastorale e la sua intelligenza delle necessità del tempo, incrociando così le analoghe doti e i progetti del suo vescovo, mons. Brandolini. Il Veneto era passato all’Italia con un’alta percentuale di analfabeti (il 64 %). Una attenzione vivissima alla formazione cristiana dei giovani mons. Brandolini l’aveva già mostrata nella sua conduzione del Seminario e in seguito con l’appoggio che darà alla nascita del collegio Immacolata per ragazze, e l’assistenza alle giovani operaie assunte dal cotonificio, alle quali veniva offerta la pensione completa. Brandolini cercava altre vie per la formazione dei giovani, oltre a quella del suo Seminario che allora era scuola pubblica. Presentiva i nuovi tempi e l’esigenza di una formazione cristiana più solida, da offrire ai futuri cittadini di uno stato laico e scristianizzato. Pensò dapprima di fondare una scuola a Ceneda per i giovani più trascurati della città. Non trovando però le condizioni favorevoli al progetto, cambiò rotta e cercò altrove. Mons. Moretti, interpellato, non perse tempo e assicurò al vescovo che la cosa si poteva fare. E così fu davvero: l’acquisto del terreno e la ricerca di una congregazione religiosa per condurre l’opera andarono in porto velocemente. Già nell’89 il collegio di Oderzo poteva aprire il patronato, con un direttore e alcuni studenti. Nel 1908 raggiungevano i 130.
Del Vescovo, per la fondazione del collegio, il decano Moretti fu l‘alter ego, l’uomo di fiducia e l’interprete autorizzato, in una parola il con-fondatore locale. Gli storici come mons. Busicchia, don Reffo e mons. Visintin, quando accennano a lui, non mancano di aggiungere al suo nome le espressioni: "dal grande cuore", "dall’infinita generosità" che sa chinarsi sulle tante miserie dell’epoca. Si narra del suo affiancarsi ai muratori, sulle impalcature dei restauri, per dar loro una mano. «Nessuno usciva a mani vuote quando si rivolgeva a lui; anche se era un burbero, era però un burbero benefico: eventuali scapaccioni in chiesa ai ragazzetti disturbatori erano, a quei tempi, poco più che un nonnulla!», come si esprime don Giuseppe Parpagiola.
Il parroco veneto di fine ‘800, è stato giustamente detto, non è unicamente un curatore d’anime, ma una forza decisiva nella storia dell’intera regione, sotto l’aspetto civile ed economico. La sua religiosità controriformistica non è formale, estrinseca, ma convinta e operante. Nel decano Moretti ne possiamo ora trovare un’altra preziosa e benefica testimonianza.
Bibliografia / Sitografia
- Don Piersante Dametto, Monsignor Moretti, un'illustre figura della storia opitergina, «Il Dialogo», Anno XLIX - n. 11 - novembre 2012, p. 8 | parrocchiaoderzo.it/dialogo
- Don Piersante Dametto, Otello Drusian, Mons. Giuseppe Moretti decano di Oderzo, La Piave Editore, Ponte di Piave, 2016 | Reperibilità: lapiaveeditore.it
- Don Giorgio Maschio, Il Decano Giuseppe Moretti. La Sapienza di un pastore, «Il Dialogo», Anno LIV - N. 1 Gennaio 2017, p. 14 | digilander.libero.it/dialoghetto
- Mauro Garolla, Monsignor Giuseppe Moretti decano di Oderzo, «Il Dialogo», Anno LIX - n. 6 - Giugno 2022, p. 16 | parrocchiaoderzo.it/Dialogo-2022-6