A novembre del 1869, dopo dieci anni di lavori, fu inaugurato in Egitto il Canale di Suez. Realizzato dal diplomatico francese Ferdinand-Marie Lesseps su progetto dell'italiano Luigi Negrelli [1], il canale permetteva, con una navigazione di soli 116 chilometri, di raggiungere il Mar Rosso dal Mar Mediterraneo senza circumnavigare l'Africa.
Perché parlarne qui?
Già tre secoli e mezzo prima, nel 1504, lo scavo di un canale che tagliasse l’istmo di Suez per congiungere via mare il Mediterraneo alle Indie era un progetto veneziano. Il tempo per raggiungere le Indie con le navi si sarebbe drasticamente ridotto rispetto a quello impiegato dalle carovane sulla tradizionale via delle spezie [2]. Nel calcolo veneziano il canale era da proteggere «al una et l’altra bocha» con due fortezze per controllare l’accesso e impedirlo soprattutto ai portoghesi, che in quel momento storico erano la concorrenza più pericolosa agli interessi mercantili di Venezia e dell'Egitto nel commercio delle spezie dall'Asia all'Europa, dopo la nuova rotta aperta dai lusitani stessi che arrivava in India circumnavigando l'Africa.
Il progetto si legge nella minuta di un documento del Consiglio dei Dieci del 24 maggio 1504 con cui si affidava all’ambasciatore Francesco Teldi (in realtà a Bernardino Giova che sostituirà il Teldi ammalatosi), l’incarico di incontrare il sultano d’Egitto anch'egli impegnato a reagire alla minaccia economica.
«A impedir et del tutto interromper la navigation de portoghesi, videlicet che cum multa facilità et brevità de tempo se potria far una chava dal mar rosso che mettesse a drectura in questo mar de qua, come altre volte etiam fo rasonado de far: la qual chava se potria assegurar al una et l’altra bocha cum do forteze per modo che altri non potrian intrar ne ussir, salvo quelli volesseno el Signor Soldan. La qual cava facta, se potria mandar quanti navilij et galie se volesse a chazzar li portogalesi che per alcuno modo non potrian parer in quelli mari. Questa cava intendemo saria cum grande segurtà del paese del Signor Soldan et dovria dari infinita utilitade a quello, però volemo che non in la prima audientia che haverai dal Signor Soldan ma in una altra audientia cum grande dexterità et a qualche bon proposito rasonando dele provision necessarie ut supra tu devi dir che molti de qui recordano essa cava monstrando più presto de refferir le opinion de homeni periti in simel cose, che alcun fermo nostro obiecto et racordo azio el prefato Signor Soldan non prendesse alcuna ombra. Che fassamo tal rechiesta a nostra particolare utilità et danno del Signor Soldan e pericolo del stado suo, et però te forzerai proponerla cum tal modo che tal proposition sia aceptada in bona parte et supratuto li farai intender quanti beni succedarian dala cava predicta».
A parte le implicazioni economiche e politiche, è un’opera “faraonica” che non spaventerebbe tecnicamente gli ingegneri veneziani. Avevano già creato fosse e canali artificiali per deviare il corso dei fiumi e preservare la loro laguna dall’interramento. E neppure doveva apparire assurda dal momento che - nel grande revival di testi classici greci e latini e di studi umanistici del Rinascimento - a Venezia si era ritrovata la memoria di un antico percorso acqueo che congiungeva i due mari in tempi antichissimi, prova che l'opera era fattibile [3].
La proposta, che si può ben immaginare dibattuta anche nelle sale di Palazzo Ducale, resta però nel cassetto, come dimostrano i tratti di penna tirati sulla minuta [4], e non verrà avanzata - pur con tutte le cautele già preventivate - al sultano. Non figurò più fra le direttive impartite all'ambasciatore e non trapelò in Egitto.
A farla regredire a vaga possibilità, da riprendere eventualmente in altre congiunture, avranno influito sia valutazioni strategiche diplomatiche e politico-militari (se ne possono ricavare dalla minuta stessa) sia la stima dei reali andamenti commerciali. Un’ingerenza veneziana così smaccata poteva urtare il sultano. Il controllo della “chava” in mano ai mamelucchi poteva ritorcersi alla lunga contro i veneziani stessi, essendo il rapporto con la costellazione mamelucca e ottomana sempre esposto a possibili conflitti per preservare il dominio veneziano “da mar”. Un’aperta collaborazione - sia pure a soli fini mercantili – con l’Egitto poteva rinfocolare l’ostilità delle potenze europee e degli altri stati italiani già insofferenti per l’espansione veneziana quattrocentesca (lo “stato da tera”) nella terraferma lombarda, veneta, friulana e dalmata, e farla sfociare in atti di guerra contro Venezia, se non fosse stata più gestibile con la pur eccellente diplomazia manovriera da parte della Repubblica.
Secondo qualche storico, inoltre, all’immediata reazione preoccupata e totalmente pessimistica seguita all’apertura della nuova rotta transoceanica portoghese, si affiancava una presa d’atto più realistica che la circumnavigazione dell’Africa si sarebbe alla fine comunque imposta sulla via delle spezie tradizionale e, forse, non era difficile riposizionarsi all’interno dei nuovi equilibri “mondiali”, puntando sulla “qualità”, sul brand – come si direbbe oggi – e sulla fascia alta del mercato. I riscontri non tardarono a venire. Il pepe commerciato a Lisbona si attestava ad un prezzo che non faceva una concorrenza agguerrita a quello veneziano e risultava spesso di qualità decisamente inferiore, dopo aver viaggiato molti mesi in stive umide, a paragone di quello trasportato fino al Mediterraneo.
Il vero scacco geopolitico per la centralità mediterranea, e il dominio veneziano, sui traffici marittimi mondiali non sarebbe stato la mancata apertura del canale di Suez nel 1504 e il primato marittimo-commerciale portoghese sull’oceano indiano e pacifico, ma la scoperta e la valorizzazione delle Americhe, delle nuove Indie, con l’imporsi della centralità atlantica. Ma questo è il senno di poi.
Lo scavo del canale di Suez come contromossa alla rotta aperta dai Portoghesi tra l’Europa e l’India attraverso la circumnavigazione dell’Africa.
Nel 1487-1488 Bartolomeo Diaz, navigando dal lato atlantico, aveva raggiunto il punto più meridionale dell'Africa, da lui denominato Capo delle Tempeste, e contemporaneamente Pêro da Covilhã aveva viaggiato per terra fino a Calicut, esplorando possibili fonti di approvvigionamento di spezie sul subcontinente indiano. Non rimaneva che cercare di unire i due segmenti del viaggio. Un decennio dopo, Vasco Da Gama, salpato da Lisbona l’8 luglio 1497, dopo aver doppiato il Capo delle Tempeste, da lui ribattezzato in forma più beneaugurante Capo di Buona Speranza, aveva risalito la costa orientale del continente fino a due città dell’attuale Kenia: Mombasa, dove i commercianti arabi tentarono di sabotarne il viaggio, e poi Malindi, allora in feroce concorrenza con Mombasa, dove invece il sultano gli mise a disposizione l’esperto navigatore yemenita Ahmad b. Majid al-Najdi per aiutarlo ad attraversare l'oceano Indiano e arrivare sulla costa sud-occidentale dell’India (attuale stato del Kerala), sbarcando al porto di Calicut (attuale Kozhikode, Calcutta) il 20 maggio 1498.
Erano le prime navi europee mai approdate nel subcontinente indiano. Si dischiudeva la “via marittima delle Indie” (cioè le regioni sud-orientali dell'Asia), così a lungo ricercata per sottrarsi all’intermediazione di commercianti arabi, persiani, turchi e veneziani, che gravava sul prezzo delle spezie orientali come il pepe, la noce moscata e i chiodi di garofano.
A Calicut Vasco Da Gama, sia pur dopo mesi di trattative per ottenere vantaggi commerciali con lo Zamorin (il principe locale), fortemente avversate dai mercanti arabi del luogo, ottenne una concessione. Ripartì l’8 ottobre, lasciandosi dietro alcuni dei suoi uomini con l’incarico di stabilire un insediamento commerciale.
La notizia arrivò a Venezia l’anno seguente. Nell’agosto del 1499, al mercato di Rialto si raccontava delle tre caravelle con le insegne del re di Portogallo approdate ad Aden e a Calicut. Fu a stento creduta. Si giudicava smisurata la nuova rotta, estremi i pericoli per avventurarvisi, assolutamente aleatorio il ritorno - quand’anche fossero riuscite ad arrivare - per navi cariche di preziosissime spezie.
Si intuiva però che - se la voce fosse stata vera – erano minacciati di crollo i commerci delle spezie che facevano la ricchezza di mercanti e nobili veneziani, ma anche dei mamelucchi d’Egitto.
Venezia non era certo inesperta di momenti di crisi commerciale ed economica, ma le turbolenze e i danni arrecabili dai concorrenti attivi sulla via alternativa aperta dai Portoghesi costituivano un pericolo molto più grave delle periodiche bolle speculative sui prezzi delle spezie, possibili anche a causa delle guerre intermittenti con gli Ottomani, come in quello stesso 1499, quando le galee allestite per commerciare furono requisite per andare a combattere e si erano creati scompensi fra stock immagazzinati e nuovi approvvigionamenti mancati.
Lettere da Lisbona nel luglio 1501 su arrivi di spezie direttamente dalle isole asiatiche attestavano che il traffico si sviluppava e sembrava non incontrare ostacoli importanti. Se da qualche parte si esorcizzava la minaccia, considerata ancora insufficiente ad affossare i commerci della Serenissima, altri – come il diarista Girolamo Priuli[5] – presagivano la rovina della città: i veneziani, ultimi di una trafila di intermediari, costretti a rifornirsi sulle coste del Levante di spezie sempre meno numerose in arrivo rispetto a un tempo, si trovavano a competere con nuovi rivali, acquirenti a basso prezzo nei porti dell’India e venditori diretti in Europa.
Lo scenario più pessimistico sembrava avverarsi quando a novembre si seppe in città dell’impresa recente del portoghese Pedro Alvares Cabral: bombardamento di Calicut, acquisto di spezie in un porto vicino, affondamento della flotta araba il cui carico diretto in Egitto era andato perduto privando di rifornimenti gli intermediari mediterranei. Il prezzo del pepe schizzò alle stelle. Per i mercati di Venezia, Alessandria e il Cairo ci furono alcuni anni di sconvolgimenti: irregolarità del ritmo dei viaggi e assottigliamento della quantità delle spezie che arrivavano dall’India. Veneziani ed egiziani si trovarono con interessi da difendere sempre più convergenti [6].
In Egitto, per reagire alla minaccia economica, il sultano mamelucco Bayezid II (1481-1512) mirava per il 1505 ad un’azione militare anti-portoghese insieme con il sovrano di Calicut. Teatro di scontro non potevano che essere Mar Rosso, Golfo Persico e Oceano Indiano - sedi fino ad allora più di scorrerie piratesche che di guerre navali - da riportare sotto un controllo più stretto, ma i sovrani mamelucchi erano sostanzialmente privi di flotta, avendo lasciato che del mare si occupassero le popolazioni rivierasche. Dovevano cercare - presso gli stati amici - tecnici navali, artiglieri e materiale strategico, come legno per imbarcazioni. Interpellata, Venezia preferì restare “coperta” lasciando intendere che «se gente dello Stato da Mar fosse andata volontariamente in Egitto non sarebbe stata trattenuta», ma non si sarebbe impegnata ufficialmente.
Roma, Francia, Spagna e persino Portogallo, furono “avvertiti” sulle possibili ritorsioni, se non si fosse bloccata la nuova via, come la chiusura della basilica del Santo Sepolcro ai pellegrini europei.
Quando Bayezid II ottenne dal sultano ottomano Qânsûh al-Ghawrî uomini e rifornimenti per allestire una flotta nel Mar Rosso, non pensò tuttavia di ridurre i prezzi, come proponevano i veneziani ad esempio per il pepe, ma anzi li aumentò nell’intento di lucrare un utile che bilanciasse la diminuzione delle merci arrivate. A dimostrazione della tutt'altro che agevole concertazione tra veneziani ed egiziani.
L’idea del 1504, accantonata da Venezia e poi ripresa dai gran visir ottomani Pargali Ibrâhîm pascià (1523-1536) e Sokollu Mehmed pascià (1565-1579), è definitivamente abbandonata fino alla metà dell’Ottocento
A partire dal 1517 la dinastia mamelucca fu scalzata da quella ottomana, col sultano Selîm I e poi suo figlio Solimano I (conosciuto come il Magnifico in Europa e il Legislatore in Turchia). Il gran visir Pargali Ibrâhîm pascià [7], amico del sovrano, inviato in Egitto, ebbe l'incarico di riorganizzare e dotare di nuovi ordinamenti le terre entrate a far parte dell’Impero ottomano. Nelle incognite della nuova situazione, i veneziani mantenevano accordi commerciali col nuovo potere per non interrompere il traffico delle galee da mercanzia, ma avevano trovato conveniente accordarsi anche con i portoghesi e con loro avevano firmato un trattato il 2 gennaio 1522. Per continuare a godere di una politica sufficientemente filo-veneziana da parte di Costantinopoli, ma senza dover esporsi, la Repubblica lasciava questo compito - senza quindi direttive cogenti – ad una rete di suoi uomini, a vario titolo presenti nell’Impero ottomano, come l’allora bailo a Costantinopoli, Pietro Bragadin, divenuto amico del gran visir, o come il corsaro Giovanni Contarini “Cazzadiavoli” e il capitano e costruttore navale Giovanni Francesco Giustinian, inviati come esperti navali - senza che lo stato ne fosse ufficialmente coinvolto - per sostenere la guerra che allora i turchi combattevano contro i portoghesi.
Nel periodo (1523-1536) in cui governò l'Egitto, Pargali Ibrâhîm pascià pensò anche ad una via d’acqua diretta tra Mediterraneo e Mar Rosso. L’idea, segretamente soppesata nelle stanze del Consiglio di Dieci nel 1504, riaffiorava nel divano imperiale d’Istanbul. Disponiamo della testimonianza di Alvise Roncignotto che in due successivi viaggi nel 1529 e nel 1532-33 constatò l'opera intrapresa per riaprire l’antico “canale dei faraoni” che univa il Mar Rosso al Mediterraneo (risalente secondo lui ai tempi dei romani) e vide circa 12.000 uomini impegnati nel lavoro. Con l'esecuzione capitale nel 1536 di Pargali Ibrâhîm pascià, divenuto inviso a Solimano che temeva per il suo stesso trono, il progetto decadde e lo scavo del canale non fu completato. Da ultimo, ne riconsiderò l'attuazione Sokollu Mehmed pascià, gran visir dell'Egitto tra il 1565 e il 1579, secondo una logica allargata e multipolare, data l'estensione vicina al suo apice che l'impero ottomano stava raggiungendo, dall’Europa, all’Asia e all’Africa. Perciò Sokollu a est «fece avviare i lavori per un canale che unisse il Don al Volga e quindi mettesse in comunicazione il Caspio con il Mar Nero» e a sud «fece riprendere gli scavi tra Suez e il Nilo come parte finale di una nuova rotta turca delle spezie, alternativa a quella che arrivava fino a Lisbona». Ma a pochi anni dalla sua morte, anche in questo caso, lavori e progetto vennero nuovamente sospesi.
Si dovranno aspettare la "Campagna d'Egitto" di Napoleone (dissuaso dal suo ingegnere Jean-Baptiste Le Père) e Metternich (ispiratore della Société d’études du canal de Suez, fatta di specialisti francesi, inglesi e asburgici, guidata da Luigi Negrelli), l'ex-diplomatico francese Ferdinand de Lesseps (incaricato dai governi egiziano e francese di occuparsene) e la nuova Commissione scientifica internazionale incaricata di selezionare il progetto migliore (presieduta dal veneziano Pietro Paleocapa, progettista di importanti interventi alle bocche portuali della laguna veneta), per riaffrontare il problema e creare le condizioni economiche e politiche del taglio di Suez.
* * *
Note
- [ ⇑ ] Per le biografie di Lesseps e di Negrelli si possono vedere inizialmente: Giuseppe Albenga, Mario Menghini, Ferdinand-Marie, visconte de Lesseps, Enciclopedia Italiana, 1933 (treccani.it/enciclopedia) e Francesco Surdich, Luigi Negrelli, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 78, 2013 (treccani.it/.../luigi-negrelli-Dizionario-Biografico)
- [ ⇑ ] Fino ad allora le merci dall’India, dov’erano imbarcate, attraversavano l’Oceano Indiano e proseguivano secondo due “vie delle spezie” verso le sponde del Mediterraneo in terre dominate dai sultani mamelucchi d’Egitto: la prima per il Golfo Persico, Basra, Baghdad e, a dorso di cammello, la costa siro-palestinese; la seconda per il Mar Rosso, fino al Cairo e quindi al porto di Alessandria. Alla distribuzione in Europa provvedevano soprattutto navi veneziane fino all’Alto Adriatico e dal mercato di Rialto le spezie riprendevano le vie di terra per toccare i più sperduti castelli del Nord. Ad Alessandria i veneziani avevano due grandi palazzi-magazzini, i genovesi uno soltanto, mentre catalani e marsigliesi occupavano due casette.
- [ ⇑ ] «Un antico canale era già stato scavato probabilmente intorno al 1897-1839 a.C., al tempo del faraone Sesostri (II o III) della XII dinastia. Secondo lo storico greco Erodoto da Alicarnasso anche Nekao II (610-594 a.C.), della XXVI dinastia, aveva cominciato dei lavori senza però portare a termine l’opera. Questa fu poi conclusa da Dario I (522-486 a.C.), il sovrano persiano che arrivò fino in Egitto, e successivamente restaurata in epoca ellenistica da Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.). Allora il Golfo di Suez arrivava più a nord di oggi e il canale attraversava i Laghi Amari e poi, procedendo da est verso ovest, raggiungeva uno dei rami del delta del Nilo. Nei secoli seguenti esso finì variamente interrato e riaperto. L’imperatore Traiano (98-117) lo restaurò e anche ‘Amr ibn al-‘Âs, il conquistatore arabo dell’Egitto, lo fece scavare intorno al 640, mentre il califfo abbaside al-Mânsur lo fece insabbiare nel 767 per impedire che dei rivoltosi, asserragliati a Medina, potessero facilmente arrivare sino a lui. Infine sembra che, intorno all’anno 1000, il califfo fatimida al-Hâkim (996-1021) fosse riuscito a renderlo per qualche tempo nuovamente navigabile. Da questo momento in poi le fonti tacciono e si deve arrivare alla minuta del Consiglio di Dieci di Venezia per trovare un’altra testimonianza a riguardo» (Maria Pia Pedani, Venezia e Suez. 1504-2012, cit. | academia.edu/5259552)
- [ ⇑ ] Commissione all’ambasciatore Francesco Teldi, inviato in Egitto, con l’emendamento di proporre al sultano il taglio dell’istmo di Suez e lo scavo di un canale navigabile tra il fiume Nilo e il mar Rosso | Documento cartaceo, 24 maggio 1504, Venezia, Archivio di Stato | html1-f.scribdassets.com
- [ ⇑ ] Cfr. I Diarii di Girolamo Priuli
- Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento, Tomo XXIV – Parte Terza, I Diarii di Girolamo Priuli (AA.1499-1512), a cura di Arturo Segre, Vol. I, Casa Editrice S. Lapi, Città di Castello (1900?) | Internet Archive | Leggi pdf
- Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento, Tomo XXIV – Parte Terza, I Diarii di Girolamo Priuli (AA.1499-1512), a cura di Arturo Segre, Vol. II, Nicola Zanichelli, Bologna, 1900? | Internet Archive | Leggi pdf
- Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento, Tomo XXIV – Parte Terza, I Diarii di Girolamo Priuli (AA.1499-1512), a cura di Roberto Cessi, Vol. IV, Zanichelli, Bologna | Internet Archive | Leggi pdf
- Sull'importante diarista è da vedere Rinaldo Fulin, Girolamo Priuli e i suoi Diarii (I Portoghesi nell'India e i Veneziani in Egitto), pp. 137-288, «Archivio Veneto», Tomo XXII, Parte 1, Anno decimosecondo, Tipografia del Commercio di Marco Visentini, Venezia, 1881 (cfr. anche Ai lettori, sempre di Rinaldo Fulin, in particolare alle pp. IX-XVIII) | Leggi pdf
- Molti riferimenti a Priuli contiene anche Chiara Palazzo, Nuove d’Europa e di Levante. Il network veneziano dell’informazione agli inizi dell’Età Moderna (1490-1520), Tesi di dottorato, Storia sociale europea dal Medioevo all’Età contemporanea - Ciclo 24° (A.A. 2008-2011), Coordinatore prof. Mario Infelise | dspace.unive.it
- [ ⇑ ] «I Veneziani cercarono contrariare i viaggi e le scoperte de’ Portoghesi, ed elessero all’uopo una Giunta delle spezierie». Si può leggere il documento della commissione data da tale Giunta il 14 dicembre 1502 all’oratore (cioè ambasciatore) inviato al soldano alle pp. 166-171 di Italiani illustri ritratti da Cesare Cantù, Terza edizione, Vol.1, Gaetano Brigola e Comp., Milano , 1873 | Internet Archive | Leggi pdf | Commissione della Giunta delle spezierie 14 dicembre 1502
- [ ⇑ ] «Come dice il suo nome, questi proveniva da Parga, una località greca che era allora sotto il dominio di Venezia. Era dunque un ex-suddito veneto che aveva trovato una nuova vita e una fulgida carriera nel mondo ottomano» (Maria Pia Pedani, Venezia e Suez. 1504-2012, cit. | academia.edu/5259552) | Pargali Ibrâhîm pascià (← it.wikipedia.org)
[Per saperne di più]
Venezia e l'Egitto
- Pier Paolo Mendogni, Serenissima, sfingi e piramidi. Venezia e l'Egitto, testimonianze artistiche e archeologiche dall'antichità alla fine dell'Ottocento | stmoderna.it/Rassegna-Stampa
- [2011] Maria Pia Pedani, Venezia e Suez. 1504 - 2012 | academia.edu/5259552
- Giuseppe Perta, Suez 1869. Immagini di uno spartiacque | academia.edu/5834547
- [2019] Alessandro Marzo Magno, La Splendida. Venezia 1499-1509, Laterza, 2019 | Cfr. Quando Venezia pensò a Suez, 3.10.2019 ilgazzettino.it | graphiservice.it/laterza5
- [1939] Angelo Sammarco, La verità sulla questione del Canale di Suez, «Oriente Moderno», Anno 19, Nr. 1 (Gennaio 1939), pp. 1-30 | jstor.org/25810277
Sul canale di Suez
- [2020] Il regime giuridico del Canale di Suez, 10.8.2020 | dirittoconsenso.it
- [2019] Ferdinando Sanfelice di Monteforte, L’apertura del Canale di Suez e l’Italia, 12.2019 | mediterraneaninsecurity.it | Leggi pdf
- [2019] Alessandro Gili, Il Canale di Suez compie 150 anni, ed è ancora fondamentale (anche per l’Italia), 16.11.2019 | ispionline.it
- [2019] Alberto Caspani, Canale di Suez: a 150 anni dall’inaugurazione è tutto ancora in gioco, 31.10.2019 | altreconomia.it
- [2018] Marco Valle, Suez, il Canale, l'Egitto e l'Italia. Da Venezia a Cavour, da Mussolini a Mattei, Historica, 2018 | Il Giornale - Biblioteca Storica, 2019 | Cfr. Eugenio di Rienzo, Suez, Cairo e Roma e i 150 anni di storia che hanno cambiato il Mediterraneo, «Nuova Rivista Storica», Anno 2019 – Volume CIII – Fascicolo III | nuovarivistastorica.it
- [2006] Salvatore Bono, Il Canale di Suez e l'Italia, «Mediterranea Ricerche storiche», Anno III, n. 8, Dicembre 2006 | storiamediterranea.it
- [Video] Accade oggi: 17 novembre 1869. Inaugurato il Canale di Suez | raicultura.it/storia/accadde-oggi
- [1936] Ernesto Massi, Il Canale di Suez, «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», Serie III, Vol. 7, Anno 44, Fasc. 2 (marzo 1936), pp. 132-149 | jstor.org/41632915
- [1867] Luigi Torelli, Il Canale di Suez e l'Italia, Stabilimento Giuseppe Civelli, Milano, 1867 | solferinoesanmartino.it