L'ultima settimana di guerra ...
Tratto da: P. Lodovico Cav. Ciganotto, L'Invasione Austro-Ungarica a Motta di Livenza e nei Dintorni. Diario 2 Novembre 1917 - 4 Novembre 1918, Motta di Livenza, Tipografia Carlo Pezzutti, 1922, pp. 228-241 | Ristampa anastatica a cura del Comune di Motta di Livenza, Tipolitografia Grafiche 3, San Donà di Piave, 1993 - Fuori commercio
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28 ottobre
Dalla notte del 26 ad oggi, a varie riprese, un notevole bombardamento nella regione della media Piave.
È un grande movimento di truppe (due divisioni, dicono) in direzione del fronte, ma meste e svogliate: non cantano come al solito.
È persuasione generale che l’offensiva sia cominciata; ma a noi non fa questa impressione. A parte che il cannoneggiare è pressoché nullo al basso Piave e al mare nullo affatto, si dura fatica a pensare ad un’azione seria con risoluto proposito di avanzare, senza il previo bombardamento dei ponti sulla Livenza.
* Verso le due pom. sono arrivati circa quattrocento prigionieri dei nostri, fatti, dissero, perché hanno voluto avanzare troppo senza l’ordine dei superiori. I nostri hanno passato la Piave per circa cinque chilometri in quel di S. Polo e Tezze.
* Circa le tre e venti pom. un’incursione offensiva di nostri velivoli. Hanno lanciato una quantità di bombe, tutte ad alto esplosivo, anche in località da non spiegarsi il perché, come nel sobborgo delle Spinade. Ero al tavolino recitando l’ufficio, e come al solito non ci badavo. Però certi scoppii molto vicini solleticarono la mia curiosità. Mi affaccio alla finestra: e, possibile, dissi dentro di me, che abbiano proprio ora impostate delle batterie antiaeree laggiù? (dietro l’argine del Monticano vecchio). Ma stetti poco a persuadermi che tutt’altro che batterie, erano bombe, e di quelle di lusso, che fioccavano dall’alto.
Due rasentarono l’angolo sud-est dell’ospedale, scavando due enormi imbuti: forse avevano di mira i numerosi carri (dello stesso ospedale) radunati là vicino. Sono stati presi di mira, ma invano, il Comando di Tappa, quello della gendarmeria, la stazione della strada ferrata, la centrale dei telefoni. Una sola delle tante bombe lanciate ha raggiunto l’obiettivo, colpendo in pieno i nostri prigionieri, testé menzionati, che erano radunati per il rancio in un cortile dietro la Banca Popolare. Una strage: vi sono stati quindici morti, straziati in modo orribile e resi irriconoscibili, e molti feriti anche gravissimi. Disgraziati!... che morte hanno trovato !...
Questo è senza dubbio uno sbaglio; forse furono scambiati per soldati nemici; ma come poi si spiega l’aver bersagliato tanto le Spinade? località disseminate di case rustiche, e che non presenta nulla di sospetto? - Forse è stata una cattiva informazione. - Ancora una domanda, giacché, a quanto pare, siamo alla fine: Perché durante tutto quest’anno, in tante incursioni offensive, non furono mai presi di mira né il Comando del Corpo d’Armata, né i ponti?
29 ottobre
Le vittime dell’incursione aerea di ieri sono aumentate: i morti sono saliti già a 25, ed altri feriti gravissimi li seguiranno presto.
Lode incondizionata va tributata ai sanitari di questo ospedale, i quali corsero immediatamente sul luogo del disastro a raccogliere i feriti, prestando loro premurose cure.
* C’è chi asserisce che detta incursione è stata preannunziata nel mattino, e precisamente per le ore 3 ½ pom. Chi asserisce tanto, è persona indubbiamente in grado di saperlo: il comandante della gendarmeria. Se è vero, può parere un eccellente servizio di spionaggio con sede, naturalmente, in Italia. Altri invece asseriscono che sono stati gli stessi nostri velivoli - i quali nel mattino volteggiarono ininterrottamente su di noi - a preavvisarne la popolazione civile. - Chi ne saprà mai nulla?
* Nella notte scorsa è stato un notevole movimento indietro di truppe specialmente del genio, della sussistenza e di artiglieria.
* Che affare di chiacchiere !... I nostri sono arrivati al tal luogo..., al tal altro...: si sono veduti nel tal paese, nel tal altro. E via di seguito... - Ciò che è vero è questo, che i nemici credevano di poter fare una piccola resistenza di un paio di giorni sul medio Monticano, ma che i nostri l’hanno già varcato a Lutrano.
* Ambedue gli ospedali questa sera hanno ricevuto l’ordine di tenersi pronti a partire nella notte. Le cose precipitano: ora sì tutti possiamo credere senza riserve, che la nostra liberazione è vicina.
30 ottobre
Tutta la notte e tutto il giorno è stato un continuo movimento di truppe che ripassano la Livenza, bersagliate dalle mitragliatrici dei nostri velivoli che le incalzano senza pietà.
Alle sei di stamane è partito l’ospedale con tutto quello che poté portare seco. Ha lasciato parecchi malati gravissimi dei suoi e dei nostri (quest’ ultimi, feriti dalla bomba del 28.) Per questi e per i malati borghesi, ha lasciato tredici capi di bovini (presso varie stalle), e medicine. La consegna l’ha fatta al convento (eccettuati i bovini, ben’inteso), per la cura ha lasciato un giovane medico ucraino, ossesso dalla paura a segno che non distingue più tra vivi e morti. I locali li ha lasciati in buono stato. Ha lasciato parimenti tutta la fornitura e il mobilio che ha trovato appartenente all’ospedale civile, più molta della sua roba, specialmente letti, brande, materassi, stufe di ferro tutt’ora imballate, ecc. Alle tre pom. quel buon medico ucraino, dopo essersi rivolto a questo e a quello per consiglio, ma inutilmente perché ormai ognuno attendeva a se stesso, si risolse di partire a piedi.
Alle ore sei pom. parte il Comando del VII Corpo d’Armata, e con lui la sua gendarmeria da campo.
Reputo dovere di gratitudine e omaggio alla verità una breve menzione del Comandante di questa. È un ottimo giovane boemo di nome Rodolfo Krouzilka, il quale senza venir meno ai suoi doveri di ufficiale, ha conservata intatta la sua fede nazionale, ed ha fatto tutto quel bene, che era in suo potere, a quanti con fiducia si sono rivolti a lui. Il Signore lo conservi, lo benedica e lo rimuneri di tutto. - «Tutti hanno requisito, dissemi, cioè rubato (sono sue precise parole), ma io vado superbo di poter dire che non ho requisito, cioè rubato nulla a nessuno. Ho dovuto una sola volta requisire per necessità cinque sacchi di grano turco, ma ho rilasciato un buono regolare. Purtroppo ho dovuto alle volte mettere i miei uomini a disposizione di altri Comandi: ma né andarono da sè, né io li ho mai mandati a compiere atti riprovevoli».
— Quanto mi dice è ben noto a tutti. Dal canto mio sono felice di poterla assicurare che ella lascia grata ricordanza. Ma purtroppo non si può dire altrettanto dell’ufficialità in genere, la quale, tra l’altro ci ha portato il mal costume, che qui non è mai esistito.
— In compenso io le dico (non per mia esperienza, che non ho mai tentato nessuno, ma perché sono d’altronde in grado di saperlo) che in nessuna delle città che abbiamo occupate si sono trovate donne forti come qui. Ma capisco bene che abbiate ad esserne contenti della nostra partenza: presto avrete i vostri. Non le dicevo io il vero giorni fa “che dopo 8 giorni non ci saremmo più ?” Allora era da una settimana che non si avevano più comunicazioni con Vienna, e che non si riceveva più nulla dall’interno.
— Vuol dire adunque che il Governo centrale non esiste più, e che l’esercito è virtualmente sciolto.
— Gran confusione c’è: chi sta al suo posto, e chi prende la via di casa.
— Le truppe dal fronte sono già tutte ritirate? Si fermeranno per nostra disgrazia sulla Livenza?
— Come può immaginarsi, io sono l’ultimo a partire, e tenga per certo che resistenza seria non se ne farà più.
— Allora questa notte avremo lo schianto dei ponti?
— Probabilmente non questa, ma la notte appresso: gli italiani non ci sono ancora alle spalle. Delle pattuglie in ritardo ce ne sono ancora, contro le quali, partito io, non vi può garantire che la vigilanza e la prudenza.
— Partendo lei ad ora sì tarda, poco lontano potrà andare.
— Questa sera faccio conto di arrivare a Cordovado.
— E poi... sul Tagliamento... e per Trieste...
— Per Trieste, no: A Lubiana sventolano ormai le bandiere dell’Intesa. Non mi resta altra via che per Klagenfurt.
Quest’ufficiale che conosco quasi da un anno, ben sapendo che la morte dell’Austria è la risurrezione della sua patria, parte contento. Consapevole di non aver fatto del male a nessuno, non teme la possibilità di cadere in mano dei nemici, e conserva la sua abituale equanimità e serenità sino all’ultima ora.
* Questa è la prima sera che non abbiamo la luce elettrica dell’esercito. Scrivo al lume d’un moccolotto, ma me ne rallegro.
* Questa notte verso le undici e mezzo è cominciata la demolizione dei ponti. Gli scoppi dell’anno scorso erano un nonnulla a paragone di questi. Non si dorme: bisogna contarli tutti. Ce n’è stato uno sì formidabile che credetti mi gettasse dal letto. Quest’opera di demolizione è durata ad intervalli sino al mattino. L’anno scorso erano schianti dolorosi: quest’anno ci allargano il cuore: ci annunziano che la nostra liberazione è vicina: Ecce appropinquat redemptio vostra! - Gli ospiti sgraditi hanno compiuto l’esodo: e, a quanto pare, un giorno prima del previsto. Se ne vadano senza volgersi indietro a contemplare la desolazione che hanno recato in questi paesi: se ne vadano, e Iddio tenga lontano ora e sempre dalla patria tanto flagello.
31 ottobre
Ultimo giorno del mese del S. Rosario. - Sono andati?... se ne sono proprio andati?... tutti?... Questo e null’ altro sappiamo chiederci al primo uscire di casa, intanto qualche gruppetto e qualche ritardatario passa ancora. Ci guardano con occhio sinistro, e tiran dritto. - Dove vanno? come faranno a passare il fiume? - Sono affari loro.
Intanto chi può resistere alla curiosità di andare a vedere i ponti demoliti? Pare che ci manchi ancora questa ultima testimonianza per persuaderci che non abbiamo più nemici in casa.
Demoliti bene, in maniera irreparabile. Gli austriaci sono maestri in quest’opera di distruzione. I nostri li minavano alle testate: gli austriaci vi gettano la salciccia esplosiva, segandoli a metà, come se una mano potente li tagliasse d’un sol colpo con precisione geometrica.
In paese assisto a due tristi spettacoli, ultimo ricordo dell’invasione. II palazzo del sindaco Sign. avv. C. Pellegrini è stato incendiato nella notte, e di là il fuoco si è esteso alle case attigue di Giacomini e di Bertoja. Avanzo alcuni passi, e odo poco lontano una detonazione di fucile. Un malvagio, ultimo avanzo degl’invasori, aveva angariato un tal Giuseppe Falzin, abitante alle Spinade, per condurgli via, chi sa dove, un carro di mobiglie. Giunti in via del Girone là dove mette al Borgo Aleandro, il disgraziato vuol fargli intendere che non è possibile proseguire, ma quel malvivente punta senz’altro l’arma, e con un colpo alle tempia lo fredda: poi, come se il fatto non fosse suo, traversa la piazza del Municipio e sparisce.
* Alla fragorosa demolizione dei ponti compiuta nella notte, successe dovunque un silenzio sepolcrale. Il cielo è coperto da un velo tenue bianco uniforme che non è né nebbia né nuvolo, il sole è timido e non mostra la sua faccia, l’aria è quieta e tepida, non stormisce una fronda, non una passera cinguetta, non un colpo di cannone, non un colpo di fucile, non un crepitio di mitragliatrice, non una ruota stride nelle vie, non un vocio di fanciulli... Tutto e tutti pare che con mirabile spontaneità siansi data la consegna del silenzio: ci guardiamo in faccia attoniti di quanto accadeva e di quanto stava per accadere: ci parliamo sottovoce quasi per tema di violare una cosa sacra. - Che contrasto repentino col frastuono di centinala e centinaia di cannoni e di tante macchine belliche, durato un anno intero e chiuso da poche ore con dei rombi che facevano traballare il suolo! Contrasto iperbolico, che solo la fervida fantasia d’un poeta orientale potrà ritrarre al vero.
Trascorre il mezzogiorno: nulla di nuovo: ci guardiamo muti quasi ricercando noi stessi.
Ma ecco che alle ore 2 un grido acuto e prolungato di gioia ci riscuote: Sono i fanciulli che volti, non già al nemico fuggente il quale aveva già passata la Livenza e che avrebbero voluto tosto dimenticare, ma a ponente, sino allora silenziosi e muti, con gli occhi fissi scrutavano gli svolti delle strade, e che con quel grido ci annunziavano l’arrivo dell’avanguardia ciclistica del Regg. di Cavalleria “Aquila”. Tutto un popolo, che ormai poteva dopo un anno abbandonare impunemente la casa, si riversò sul loro passaggio, vecchi, donne, bambini. Quanti abbracci, quanti baci siano stati dati a quei nostri primi liberatori, che cosa si dicesse loro, che cosa si chiedesse, io nol so: rammento che bambini i quali appena articolavano, non potendo altro di meglio, colle manine scarne alzate, non cessavano di gridare: Taliani, taliani..., perché se altro non capivano, ben sapevano che solo i soldati italiani avrebbero recato la liberazione da morte sicura. Dopo un anno di martirio era il primo giorno che spuntava sul labbro di tutti un sorriso. Chi esultava e chi piangeva di gioia inenarrabile.
* Il nemico fa della reazione sulla Livenza. Il crepitio delle mitragliatrici e della fucileria è vivacissimo da ambe le parti. La nostra artiglieria non è arrivata, mentre quella nemica, che pare alquanto numerosa, si fa sentire con lancio di “srapnels” e di granate da 105 in questi dintorni, specialmente sulla strada provinciale, su quella di Redigole e sull’ ex-ponte omonimo. Uscire di casa è pericoloso.
1 novembre
Nella notte passata il bombardamento da parte del nemico è stato molto attivo. Da parte nostra un solo cannoncino da 75 su autocarro blindato rispondeva qua e là. Due granate hanno colpito le Case Operaie (già vuote d’abitatori), una esplose nella stanza retrostante la cucina di A. Cappellin presso il ponte di Redigole, una nella stalla di G. Gallina, il quale se ebbe salva la vita lo deve all’ispirazione, mentre stava recitando il rosario, di uscire un istante prima sotto il portico quasi a curiosare circa quanto accadeva di fuori. Non ci sono vittime. Le altre case sono circondate da esplosioni. La popolazione spaventata si rifugia in convento e all’ospedale.
* Durante la notte sono arrivati gli arditi e la brigata “Ionio”. Vi sono delle ottime persone, ma vi hanno anche degli esseri abbietti (in disgustoso contrasto colla compitezza del reparto di cavalleria), i quali impegnano la loro bravura in sfondare quelle poche porte che i tedeschi lasciarono intatte, in cerca di non so quali tesori nascosti. Il convento è pieno di truppe allegre e contente che ci raccontano tante cose. L’ufficialità pone con nostra soddisfazione la mensa nel nostro refettorio, dove poco prima l’avevano i nemici. A sera avanzata due ufficialetti imberbi, lindi e pinti, pieni di pretese, mi affrontano colla lanterna cieca su per le scale: non potei - io che non so tacere davanti a certi atti - risparmiare loro qualche parolina sgradita. Più tardi, mentre scrivevo queste note, altri due, - forse i medesimi, non so - bussano alla mia stanza in cerca d’un luogo sicuro per dormire; ma quando sentono che è posta a levante, quindi sotto il tiro diretto, voltano via frettolosamente !...
Nella giornata l’artiglieria nemica è cresciuta di numero. I fucili e le mitragliatrici crepitano senza interruzione. Nell’aria e nelle siepi è tutto un fruscio di pallottole, e noi, cui la contentezza della conseguita liberazione ha fatto dimenticare la riflessione e la coscienza del pericolo, assistiamo impassibili nell’atrio e sul piazzale della Basilica.
2 novembre
Tutta la notte le armi nemiche sono state in azione senza un istante di sosta. I nostri, che hanno già concentrato qui un grosso numero di truppe, ben tre volte hanno tentato invano il varco del fiume: quando verso l’aurora due enormi rombi chiudono l’ultimo saluto che il nemico dà a Motta: sono due depositi di munizioni fatti scoppiare: i nostri avevano passata la Livenza vicino a Pordenone.
Siamo completamente liberi.
Si può uscire impunemente. Vado un po’ a zonzo a curiosare. - La strada di S. Giovanni e la Calnova, che fronteggiano la Livenza, sono diventate presto due lunghe e poderose trincee, che ora, naturalmente, non servono più. Di tante granate nemiche, poche sono cadute in paese. Una ha colpito la piramide del campanile, una il cornicione del Duomo a settentrione, e una terza è penetrata in sagrestia. Una ha colpito una casetta vicino al macello, facendo vittima un fanciullo di tredici anni e ferendo a morte una bambina. Un’altra bambina è stata uccisa da una pallottola di rimbalzo a S. Rocco: queste sono le uniche vittime tra la popolazione civile. In convento uno “srapnel” sfiorò l’angolo sud-est della stanza del Guardiano, scoppiando nel cortile: due granate colpirono in cadenza il tetto della biblioteca, due esplosero nel nostro vecchio cimitero domestico, e molte nei prati. Le campagne qui attorno sono tempestate di esplosioni; pure nessuna delle numerosissime case è stata colpita in pieno, quantunque alcune siano state tutt’intorno letteralmente coronate di buche. Cosa degna di nota, e che tutto considerato ha del mirabile, e che il nostro popolo meritamente attribuisce ad una speciale protezione della Madonna della quale è tanto devoto.
3 novembre
Da ieri correva voce d’una colossale sconfitta inflitta ai nemici sui monti. La lieta notizia oggi riceve conferma.
Nella sera arriva e prende alloggio in convento il Vescovo da Campo. Fu addirittura tempestato da un cumulo di domande: era un anno che non sapevamo nulla delle cose nostre. Molte delle notizie notate in questa cronaca, e che ci parevano pressoché incredibili, hanno conferma, come le frequenti calate notturne dei nostri velivoli in questi d’intorni per farvi scendere degli ufficiali, specialmente il Sac. Capit. T. Martina; il largo ed audacissimo spionaggio esercitato qui a Motta, ecc.
Eravamo ancora in refettorio, quando un grande vociferio accompagnato da lancio di razzi, si udiva sulla strada. Si resta un po’ perplessi: intanto il segretario di Sua Eccell., che era uscito per verificare di che si trattasse, torna colla nuova che i soldati sono in festa perché l’Austria disfatta ha chiesto e conchiuso l’armistizio.
4 NOVEMBRE - ARMISTIZIO
Stamane il Vescovo ha voluto essere il primo ad officiare dopo un anno quest’insigne Santuario. In brev’ora la Basilica, sgombra e ripulita, era piena di soldati. Alla Messa seguì un Te Deum di ringraziamento e un discorso del Vescovo, cui rispose un Colonnello.
Tutto ci pare una fantasmagoria. Questo succedersi, incalzarsi di avvenimenti grandiosi, e vorrei dire ormai inaspettati, c’intontisce, ci fa come rivenire da un sogno lontano, non siano capaci di renderci conto delle cose, non crediamo a noi stessi.
La Bulgaria dapprima, poi la Turchia, ora l’Austria. E la Germania?... - Indubbiamente, e presto anche la Germania. Il Kaiser aprì la guerra al grido di: “Guai ai vinti”. Sognava di pregustare già le delizie del rinnovellato impero romano, ma sbagliò intonazione: costume dei Romani è parcere devictis, et debellare superbos. La sorte ormai è decisa: quella minaccia, se mai, dovrà applicarla a se stesso, e ai suoi alleati non men nella guerra che nei delitti.
Un anno e mezzo fa il Kaiser disse orgogliosamente: “Abbiamo distrutto tre regni” (piccoli in verità): domani diremo noi: “Abbiamo rovesciato tre colossali Imperi”. - Et nunc reges intelligite: erudimini qui iudicatis terram.
Sono e moralmente e fisicamente stanco molto, e pongo fine a questa cronaca tutta di dolori, che è il nostro martirio d’un anno.
Ristampa anastatica 2017
Padre Lodovico Ciganotto
L’invasione austro-ungarica a Motta di Livenza e nei dintorni. Diario 2 Novembre 1917 - 4 Novembre 1918
Dario De Bastiani Editore con Libreria Opitergina Editrice - 2017