La lettera di Luca Lando' al Direttore di Repubblica

«Non leggete queste righe, non adesso. L'emergenza, i morti, i turni massacranti di medici, infermieri e volontari, insomma il dramma che sta vivendo il Paese ci obbligano a stare uniti ed evitare polemiche. Quando l'incubo sarà passato, e sappiamo che passerà, sarà però il caso di ragionare su quanto accaduto.

L'epidemia di Sars del 2003 durò solo sei mesi, da febbraio a luglio, ma lasciò sui tavoli un conto tra i 40 e gli 80 miliardi di dollari. L'influenza spagnola, che si diffuse rapidamente insieme alle truppe della Prima guerra mondiale, contagiò 500 milioni di persone (oltre un quarto della popolazione globale di allora) e fece oltre 50 milioni di vittime. La peste nera, provocata da batteri e non da virus, uccise il 40% della popolazione europea tra il 1347 e il 1352 (tre secoli prima di quella del Manzoni) e ci vollero due interi secoli (sì, 200 anni) per riportare le città ai livelli demografici di prima. L'epidemia di Ebola del 2014 ha infettato nell'Africa occidentale oltre 28mila persone e uccise più di 11mila, consegnando a Guinea, Liberia e Sierra Leone un buco di 2,2 miliardi di dollari in termini di Prodotto interno lordo perduto, mentre la nuova epidemia di Ebola, esplosa in Congo nel 2018 e ancora in corso, ha colpito oltre tremila persone, uccidendone più di 2200.

Sono notizie terribili, alle quali abbiamo sempre reagito pensando che si trattasse di epidemie lontane nello spazio (Ebola) o nel tempo (Peste). Il ritmo ravvicinato di Sars, Mers e ora Covid-19 ci ricorda invece che in un mondo interconnesso di quasi otto miliardi di persone quelle categorie non hanno più senso. Un virus che esplode in Cina a dicembre può presentarsi a gennaio in Italia e in Iran, a marzo in Francia e in Germania  e alla fine di quel mese sbarcare trionfante negli Stati Uniti. Di fronte a un virus nuovo e sconosciuto (agli scienziati e al nostro sistema immunitario) non c'è più spazio, tanto meno tempo. In un rapporto del 2007 l'Organizzazione Mondiale della Sanità scriveva che "un'epidemia in qualunque parte della Terra è a poche ore di distanza dal diventare una minaccia ovunque". Nel 2016 una commissione internazionale formata da esperti di 17 Paesi e dal complicato nome di Global Health Risk Framework for the Future concludeva che "esistono davvero pochi rischi per il genere umano che possano causare un numero di morti paragonabile a quello delle pandemie".

I governi, i media e i medici dicono giustamente quello che dobbiamo fare per evitare il contagio e ridurre i pericoli. Prima o poi (meglio prima) dovremmo tuttavia affrontare la questione in maniera diversa: visto che le pandemie (gigantesche epidemie su scala globale) non sono più una ipotesi ma una certezza, è possibile organizzarsi per tempo? Certo, nessuno può sapere - oggi, adesso - quale sarà il virus che esploderà incontrollato tra dodici mesi o dodici anni. Quello che possiamo fare, tuttavia, è prepararci in anticipo a gestire l'emergenza che verrà nel modo più efficace e intelligente. Cosa che non è avvenuta in questo caso.

In questi giorni di quarantena, imposta o volontaria, gira sul web il video di una conferenza pubblica di Bill Gates in cui il fondatore di Microsoft parla di quello che l'epidemia di Ebola in Africa ci ha insegnato e che gli scienziati ripetono da tempo: primo, che l'esplodere di epidemie virali non è un copione di Hollywood ma una serie di eventi in arrivo; secondo, che quelle epidemie possono realmente trasformarsi in pandemie e vagare per l'intero globo (il fatto che non sia accaduto con Ebola, non significa che non possa accadere e Covid lo dimostra); terzo, che i soldi da investire in ricerche biologiche, epidemiologiche e per realizzare - prima, anziché dopo - dei piani e dei protocolli di difesa rapidi ed efficaci sono enormemente inferiori ai costi provocati da una epidemia, figurarsi una pandemia. Quarto, ma lo aggiungiamo noi, che di fronte a tutto questo la sanità andrebbe rafforzata, non certo tagliata come avvenuto in Italia negli ultimi dieci anni (quasi duecento ospedali chiusi e 40mila posti letto in meno).


Il video di Bill Gates che sembrava predire il Coronavirus, 5 anni fa | corriere.it/video-bill-gates

Il video è del 2015 e può essere definito tanto premonitore quanto inutile. Perché del tutto inascoltato e ignorato. E perché un secolo dopo la Spagnola, sette anni dopo la Sars, sei dopo la penultima esplosione di Ebola (l'ultima è tuttora in corso) siamo ancora qui a cercare mascherine e guanti, a ringraziare i cinesi per il gentile invio di macchine da terapia intensiva, a individuare aree da trasformare in ospedali e, infine, a tentare di capire se sia meglio avere tante zone rosse da cui non si entra e non si esce o una gigantesca zona di protezione (l'Italia) dove al prezzo di una multa o di una ipotetica denuncia chi vuole va dove vuole. Per non parlare del paradosso Ue, dove di fronte a un virus che è uguale per tutti, le risposte e le ricette cambiano di Paese in Paese.
Non leggete queste righe, non adesso. In questo momento è giusto fare di tutto perché il Covid passi il prima possibile. Ma l'errore più imperdonabile, appena finito l'incubo, una volta passata 'a nuttata, sarebbe ripetere quanto fatto con Ebola, Sars e compagnia brutta: vivere di emergenza, anziché di esperienza.

[Luca Lando' è stato direttore dell'Unità e, prima di diventare giornalista, ha lavorato per anni all'Università di Berkeley come neurobiologo cellulare. Per Chiarelettere ha scritto il libro La Cura - Se l'Italia fosse un corpo umano]

La Repubblica, 19.3.2020 | rep.repubblica.it/coronavirus-lando