Franz Paludetto | Oderzo, 30.6.1938 - Rivara (To), 16.5.2023

Franz Paludetto
 
Franz Paludetto ritratto da Plinio Martelli (stampa ai pigmenti con intervento in oro) | Fonte: artribune.com
 

[a. m.] Di Franz Paludetto, nato ad Oderzo il 30 giugno 1938, non avevo finora mai sentito parlare. È stato uno dei più importanti ed esuberanti galleristi d’arte contemporanea, figura vulcanica della scena artistica torinese e internazionale, instancabile viaggiatore e talent scout di artisti.

Attraverso i social, pochi giorni fa, il figlio Davide ha dato notizia della morte del padre, a 85 anni, nella propria abitazione, il Castello di Rivara, a 30 chilometri da Torino nelle valli del Canavese, divenuto – oltre che sede espositiva d'elezione – soprattutto Museo d’arte contemporanea.

Ad Oderzo aveva vissuto fino alla metà degli anni Cinquanta, quando arrivò a Torino per «caso», sbagliando treno. Lo “sbarco casuale” fu una nuova ripartenza. «Mi sento torinese», ammetteva a distanza ormai di molti d’anni, nell’intervista del 2014 con Claudia Giraud[1], benché i suoi genitori fossero triestini, anzi di Pirano, e sua nonna viennese. Era capitato che, diretto a Basilea, dovendo cambiare a Milano e prendere il treno per Chiasso, fosse salito invece, alle 4 e mezza di mattina, un po’ confuso, sul treno per Chivasso. Così si era trovato a Torino, a novembre, in una città grigia, piena di nebbia, e grazie all’indicazione di un tassista era riuscito a farsi portare «da una signora che affittava ai sottotenenti». Non sapeva che cosa avrebbe fatto, ma lì rimase.

Qualche premonizione del suo futuro fra arte e pittura gli si era manifestata da decenne a Oderzo: «ho conosciuto – in quel piccolo paese, dove vivevo per ragioni politiche di mio padre – tre artisti che frequentavo perché mi interessava il loro modo di dipingere, di vedere le cose, specialmente i panorami». E ancora dall’infanzia fatta in montagna vicino a Cortina, dove s’era trasferito, pensava di aver ricavato sia l’amore per la natura sia il gusto di vivere «sempre a una certa altezza».

«Io volevo una mia storia»

Per Fabio Vito Lacertosa, curatore di tante mostre volute dal gallerista, è da cercare nel trauma storico patito la sorgente dell’inesausta inquietudine che l'ha sempre mosso: «instancabile viaggiatore, investigatore di pensieri nuovi, avventuriero e talvolta incosciente navigatore di acque non battute da alcuno».

«Classe 1938, Franz Paludetto nasce dalla parte sbagliata della Storia. Suo padre, infatti, è podestà di [...] Oderzo[2]. Viene sradicato ben due volte dall’infanzia: la prima per via del regime militare cui è sottoposto in famiglia; la seconda, alla fine della guerra, quando osserva cambiare il suo status e saggiando lo scotto dell’umiliazione pubblica, trattato come “il figlio del fascista”. È appena un bambino e ovviamente non ne capisce il perché, ma da allora la sua vita vira nel segno della ricerca di un’identità e di un posto nel mondo che fosse solo suo e nel quale nessuno potesse mettere definitivamente becco. Da questo angolo visuale nasceranno tante scelte anticonformiste e scabrose degli anni ’60 e ’70, e tanti sodalizi successivi con il mondo di matrice tedesca, una cultura che si trovava a fare i conti con la storia attraverso un tipo di approccio molto affine al suo vissuto personale».

Fermatosi a Torino, fa il barista in un chiosco davanti alla Fiat a Mirafiori; poi ha «una botta di fortuna»: va a lavorare al Rifugio Torino sul Monte Bianco e, alla morte del gestore, ha la possibilità di diventare responsabile dell’albergo-rifugio. «Lì feci la prima mostra nel ’58, vendetti il primo quadro a Courmayeur, all’Hotel Lo Scoiattolo. Fino agli Anni Sessanta feci un po’ di soldi, poi tornai a Torino e incontrai quella che divenne mia moglie».

A Torino nel ’68 è ancora un venditore d’auto in una concessionaria, ma di fronte all’Accademia Albertina di Belle Arti. Vede professori, ascolta al bar le loro discussioni, sente l’entusiasmo dei giovani. Chiede ad alcuni se vogliono fare una mostra in un piccolo spazio a fianco del negozio, ma valutandone la competizione e l’indecisione di stare assieme per proporre le proprie idee, decide lui di aprire la sua prima galleria, Franzp, con personaggi come Marco Gastini, Ezio Bersezio e Nanni Cortassa.

L’incontro con Gina Pane[3], performance artist francese, lo portò di lì a poco ad inaugurare un nuovo spazio, la Galleria LP220, diventando anche socio di Jean Larcade (il gallerista di Yves Klein[4]), e da quei due piani in via Carlo Alberto partì «tutta la sua storia». Altri spazi nasceranno in piazza Solferino, in via Susa, in via Mazzini, fino all’avventura che sembrava “follia” al Castello di Rivara, avviata nel 1985, ospitando alcuni protagonisti dell’arte d’avanguardia della seconda metà del ‘900.

Dopo le performance della giovanissima Gina Pane (1969-70), fu la volta delle mostre di Luigi Ontani[5], Roman Opalka[6], Tania Moreaud, Jean Pierre Reynaud e Joseph Beuys nei primi anni Settanta. Quindi le performance di La Monte Young, Marian Zazeela, Pandit Pran Nath e Terry Riley (1971). Poi, l’incontro con l’azionismo viennese di Hermann Nitsch e Arnulf Rainer (1972-1973). A seguire, lungo gli anni Settanta, Giuseppe Chiari, Ugo La Pietra[7], Gianni Piacentino[8], Giorgio Ciam, Aldo Mondino, Pier Paolo Calzolari, ancora Luigi Ontani, e le attività di Calice Ligure con il progetto A Calice ligure non c’è il mare.

Durante gli anni Ottanta le numerose mostre di Alighiero Boetti, Edward Kienholz[9], ancora Calzolari Nitsch e Mondino, Paul Renner[10], Pino Pascali. Dal 1985 si susseguono le molte mostre al Castello di Rivara: Sergio Ragalzi, Salvatore Astore, Ferdi Giardini; la collettiva annuale “permanente” denominata Equinozio d’Autunno; l’incontro degli artisti inglesi, Julian Opie, Angela Bulloch[11], Richard Wentworth[12]…, e tedeschi, Stephan Balkenhol[13], Bernd & Hilla Becher, Isa Genzken, Candida Höfer ... (nel 1989); il gruppo di matrice milanese (ma non solo) composto da Umberto Cavenago, Marco Mazzucconi, Maurizio Arcangeli, Luca Vitone e Maurizio Vetrugno, dalla fine degli anni Ottanta.

Gli anni 90 sono gli anni di grandi mostre personali (Candida Höfer e Hermann Pitz, John Armleder, Dan Graham, Gordon Matta-Clark, Paul Thek) e la collettiva Itinerari con le installazioni site-specific di Felix Gonzales-Torres. Del 1992 è «celeberrima e celebrata» la mostra Viaggio a Los Angeles con le residenze – al Castello – di Raymond Pettibon, Charles Ray, Paul McCarthy, Larry Johnson, Lari Pittman, Jeffrey Vallance.

Sempre del 1992 è Il gioco del pensiero a cura di Angela Vettese e Una Domenica a Rivara con il soggiorno di Maurizio Cattelan che termina con la realizzazione dell’iconico intervento Fuga dal Castel Vecchio che diede il titolo alla mostra.

 
Maurizio Cattelan, Fuga 1992 | Fonte: castellodirivara.it/i/maurizio-cattelan
 

Nel 1993 si ammirano le mostre collettive Time to Time, Menschen Welt e le mostre personali di Allan McCollum e di Nicus Lucà. Nel 1996 Pittura, nel 1998 Boris Michailov e nel 1999 Miriam Cahn. Nei primi 2000 le mostre Figurare e Paloma Varga-Waisz. Ogni anno la grande Equinozio d’Autunno. Si fa intanto centrale l'iniziativa del Centro di Documentazione.

Agli inizi degli anni 2000, Norimberga – città sempre presente tra i viaggi di Paludetto – è ben più che una semplice deviazione: insieme alla seconda moglie Carolin Lindig, vi sposta per anni parte la sua attività creando la Galleria Lindig in Paludetto, «ponte “artistico” ideale tra Italia e Germania che ha caratterizzato gli ultimi 25 anni della Sua carriera».

Nel 2010 il Castello di Rivara apre una prima vetrina a Roma, nel quartiere San Lorenzo, con una serie di mostre personali di artisti tedeschi. Con l’esperienza romana sono coinvolti anche Daniela Perego, Elvio Chiricozzi, Oreste Casalini… Nel 2011 si apre anche una seconda vetrina a Torino, in via Artisti, con il nuovo spazio la Davide Paludetto Arte Contemporanea.

Una grande mostra del 2011, Su Nero nerO, indaga il colore e i materiali in tutte le sue forme[14].

Franz Paludett con il figlio
 
Franz Paludetto con il figlio Davide | Fonte: torino.repubblica.it
 

Nel secondo decennio del 2000, mentre si consolida il Progetto Permanente “Museo di Arte Italiana 1985-2015” e nasce ufficialmente il Centro di Documentazione Cartaceo del Castello di Rivara (attualmente a cura di F. Arra), ricorrono gli artisti Salvatore Astore, Maura Banfo, Domenico Borrelli, Adriano Campisi, Carlo D’Oria, Ferdi Giardini, Paolo Grassino, Enrico Iuliano, Paolo Leonardo, Nicus Lucà, Sergio Ragalzi, Francesco Sena, Luigi Stoisa, Maurizio Tajoli e Guido Airoldi. Nel 2018 si fa Gotico Industriale (a cura di F. V. Lacertosa), un passaggio storico della città di Torino dagli anni ’80 ai ’90, e nel 2021 è la volta di Pittura Ambiente I, «un ritorno importante alla scelta di giovani che raccontino la contemporaneità e la pittura nel rapporto con i luoghi del Castello». Giovani come Luca Arboccò, Ruggero Baragliu, Rodrigo Blanco, Samuele Pigliapochi, Angelo Spatola, Giovanna Preve, Olga Sosnovskaya; e dal testo critico si legge: «È dunque curioso quell’impegno degli esseri umani nel decretare la morte della pittura, quando in realtà è sempre la pittura a dichiarare la morte delle cose».

Franz Paludetto
 
 
 
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È difficile, a così poca distanza dalla morte, un bilancio – per chi non l'ha conosciuto – esistenziale e culturale delle idee e dell'operato di Franz Paludetto.
Serviamoci, per alcune suggestioni, delle note di Fabio Vito Lacertosa che accompagnano il necrologio:

Fino agli ultimi giorni, una doppia natura lo ha sempre contraddistinto: da una parte il seduttore mondano, comunicatore e girovago per mezza Europa; dall’altra l’eremita, l’inappagato, il centrifugo flaneur circondato da artisti, intento a falciare l’erba del giardino del Castello. Di lui si narra dell’intuito leggendario, della sua capacità inesauribile di risorgere nell’arte dopo esser stato dato per finito più volte, decennio dopo decennio, ma anche di un carattere difficile e imprevedibile.
Nonostante una fascinazione del bel mondo, infatti, era più a suo agio al fianco di chiunque fosse ai margini della vita e della morale borghese, e si definiva appunto “uno strano personaggio ai margini dell’arte”. Per questa attitudine poteva costruire rapporti elettivi ma anche profonde idiosincrasie. Alcuni leggendari disaccordi con artisti o galleristi internazionali sono diventati temi goliardici di racconti e si contrappongono invece ad una serie di collaborazioni internazionali e sodalizi così stringenti da portargli paradossalmente maggiori riconoscimenti all’estero che in patria. Ciò che lascia al mondo è il frutto dello sguardo rivolto verso ogni sommovimento, verso ogni segno che lui ritenesse “significante” e verso ogni nuova occasione di innovare il proprio linguaggio. Nonostante il culto della novità, però, Franz Paludetto ha sempre detestato ogni forma di “consumismo” del pensiero artistico ed ha cercato di essere estraneo al concetto di mode. Per evitare di ricadervi ha messo in atto quella che lui amava definire una “verifica continua”, alternando mostre grandi a mostre piccole (dette di segnalazione) che gli permettevano un confronto perenne sulla “spinta” di una determinata scelta effettuata. Fino agli ultimi giorni di vita la sua ossessione era rimasta quella di capire quali fossero i nuovi movimenti, le ideologie a venire di un’era in cui tutti i riferimenti sicuri sembravano spariti alla vista
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Note

  1. [] Claudia Giraud, Di Franz Paludetto. Un gallerista d’alta quota, «artribune.com», 13/7/2014 | artribune.com/attualita/2014/07
     
  2. [] Fabio Vito Lacertosa, Per la Memoria di Franz Paludetto, 16/5/2023 | facebook.com/castellorivara | Che il padre fosse il podestà di Oderzo è però un'informazione bisognosa di riscontro documentario e storico, poiché in loco non risulterebbe un podestà Paludetto, ma un "custode" Paludetto, residente nella Casa del Fascio opitergina. Sto cercando di reperire i nomi dei podestà succedutisi in città e testimonianze sul periodo interessato. È credibile la traumaticità ideologica e psicologica, ma non necessariamente in quanto "figlio del podestà" fascista.
     
  3. [] Su Gina Pane (Biarritz, 1939 - Parigi, 1990), innumerevoli articoli di documentazione:
  4. [] Su Yves Klein
  5. [] Su Luigi Ontani
  6. [] Su Roman Oplaka
  7. [] Su Ugo La Pietra
  8. [] Gianni Piacentino | castellodirivara.it/i/gianni-piacentino | giannipiacentino.com/Biography
     
  9. [] Su Edward Kienholz
  10. [] Su Paul Renner
  11. [] Su Angela Bulloch
  12. [] Su Richard Wentworth
  13. [] Su Stephan Balkenhol
  14. [] Ivan Fassio, Su Nero nerO – Collettiva Rivara (TO), «exibart.com» | exibart.com/altrecitta
     

Sitografia