[a. m.] Ca' Diedo, uno dei palazzi dominicali in terraferma della famiglia patrizia veneziana Diedo, fu edificato nel 1750 su progetto dell'architetto Giorgio Massari(1), in stile neoclassico con qualche espressione manierista(2). Della famiglia Diedo erano stati nominati almeno quattro podestà di Oderzo lungo i secoli: Giovanni Diedo nel 1477, Marco Antonio Diedo nel 1517, Alvise Diedo nel 1560, Bonaventura Diedo nel 1747.
Nel 1808 il palazzo con tutte le pertinenze fu venduto da Giuseppe Diedo e dalla moglie Adelaide Longo (allora domiciliati a Venezia) ai fratelli Antonio e Giuseppe Saccomani (domiciliati a Gorgo). Il passaggio di proprietà è documentato dal rogito del notaio Zambaldi che si conserva presso l'Archivio di Stato di Treviso. Un edificio padronale, due barchesse laterali, tre ettari di parco con un pozzo e un laghetto, formavano il complesso, i cui confini partivano dalla strada comunale del ponte rotto e via rive arrivando alla strada del borgo della Maddalena e alla proprietà D.m Pigozzi.
Di quella compozione non restano più tutti gli elementi: alcuni come le barchesse (una adibita a scuderia, l'altra ad abitazione del custode e magazzino) furono demolite; altri furono ricostruiti con diversi materiali, come i solai, oppure asportati come i terrazzi alla veneziana al primo e al secondo piano (escluso quello del salone), per sgravare i solai dal maggior peso derivante.
Nel 1864 il Comune acquistò il Palazzo per farne, nel 1887, la sede municipale, destinazione che dura tuttora.
Nella sala riunioni del Consiglio comunale sono esposti quattro grandi dipinti commissionati a Gino Borsato(3) nel 1935, per celebrare episodi leggendari e storici della comunità opitergina.
Note
Il Palazzo Diedo di Oderzo è confrontabile con il palazzo Beltramini Pasini – anch'esso ora municipio – di Asolo e la comparazione rende comprensibile lo stile del progettista.
I due edifici, entrambi attribuiti a progetto di Giorgio Massari e costruiti attorno alla metà del 1700, «sono simili nell'impaginato architettonico» ed esibiscono «l'apposizione di elementi arcaici in composizioni classiche»: il linguaggio artistico è dunque quello neoclassico con qualche espressione manierista, contemporaneo all'epoca.
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